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26/10/11

Coriano, Italia


Quante tragedie in questi giorni! Un terremoto devastante colpisce la Turchia; inondazioni terribili devastano la Thailandia; una crisi economica senza precedenti tiene tutta  l’Europa col fiato sospeso; in Libia la guerra fratricida continua con vendette sugli sconfitti; smottamenti e frane in Liguria rovinano alcuni dei luoghi italiani più belli; un campione di moto, un ragazzo romagnolo perde la vita su un circuito lontano.
Ci sarebbe solo da mettere le mani nei capelli e, cinicamente, ritenersi fortunati perché non è capitato a noi.
Eppure ci alziamo la mattina, ci vestiamo, facciamo colazione e andiamo al lavoro. Chi ce l’ha.
Portiamo i figli all’asilo o li accompagniamo a scuola. Si fa la spesa, si chiacchiera e si prepara da mangiare. Come sempre.
Perché?
Tutta la realtà ci provoca, ci chiede una risposta, ci mette in moto ogni giorno. Con giudizi o con gesti siamo provocati a rispondere. Il modo come ci muoviamo manifesta come ci stiamo davanti. Così costruiamo o distruggiamo quello che ci è stato consegnato.
“Come mai – mi chiedevo da ragazzo- il sole sorge sempre anche durante la guerra?” Ne era appena finita una, l’ultima grande in Europa e io ne vedevo ancora i resti.
“Perché i bambini nascono anche durante le guerre?” Chi  o che cosa permette agli uomini di non disperare e di ricominciare?” così al padre e alla madre di quel ragazzo di Coriano come a quelli dei figli morti nel terremoto o sotto l’acqua.
“Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza!” (Benedetto XVI ad Ancona)
Tutto è un’opportunità.
Segni positivi  ci sono: famiglie che non si perdono d’animo e lottano per la crescita e l’educazione dei loro figli, gente che si aiuta e si sostiene nel lavoro, giovani che intraprendono strade nuove magari con grandi sacrifici, politici che hanno a cuore il bene di tutti.
“La vita del nostro popolo documenta anche l’esistenza di fatti e opere buone che dicono questa sovranità sul male dell’umana libertà quando si lascia cambiare dalla grazia di Cristo. Sono segni ragionevoli che la speranza alimentata dalla fede e dalla carità, praticata nelle nostre comunità, è veramente affidabile” (Card. Angelo Scola)
Quante tragedie in questi giorni e chissà quante altre nei giorni che seguiranno. “Vita hominis militia est” La vita dell’uomo è un continuo combattimento. In tutto questo però c’è un fatto, che ci sussurra: tutta la realtà è buona. Ecco perché allora si può umanamente stringersi  con affetto attorno ad una famiglia che vede il suo ragazzo finire miseramente sull’asfalto come un pupazzo  sotto gli occhi del mondo, affrontare ogni tipo di povertà economica e morale, senza lasciarsi schiacciare, guardare in faccia la morte con le lacrime e diritti riaffermare la propria speranza, sollevarsi le maniche e ricominciare e costruire, sempre, con intelligenza e costanza. 
Dentro un popolo rinasce la speranza.

13/04/10

Lettera ai cristiani d'occidente

Questa mattina mi sono svegliato presto, dopo essere andato a dormire presto. A Rimini piove. Ho fatto la doccia, mi sono vestito ed ho fatto colazione. Tutti atti molto normali, quotidiani. Nell'attesa dell'autobus che mi porterà a scuola, ho ascoltato la lettura del libro di don Giussani consigliato come meditazione per quest'anno.
Parla della carità e cita una lettera scritta molti anni fa da un teologo cecoslovacco. Ricordo bene: era fondamentale allora; lo è ancor oggi, nel momento in cui la Chiesa è attaccata e messa in discussione.
Eccola:
Lettera ai cristiani d'Occidente
Josef Zverìna
Nel 1970 il grande teologo cecoslovacco scrisse questa lettera che consegnò a due amici italiani affinché la portassero oltre la cortina di ferro.
«Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, i suoi slogans, il suo modo di pensare. Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. È ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo vostro strano mondo. Probabilmente vi riconosciamo ancora perché in questo processo andate per le lunghe, per il fatto che vi assimilate al mondo, adagio o in fretta, ma sempre in ritardo. Vi ringraziamo di molto, anzi quasi di tutto, ma in qualcosa dobbiamo differenziarci da voi. Abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo possiamo e dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento. 
"E non vogliate conformarvi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate distinguere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, ciò che è perfetto" (Rm 12,2). 
Non conformatevi! Mè syschematízesthe! Come è ben mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema. Per dirla in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. 
Dobbiamo volere di più, l'apostolo ci impone: "cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova!" - metamorfoûsthe tê anakainósi toû noùs. Come è espressiva e plastica la lingua greca di Paolo! Di contro a schêma o morphé - forma permanente - sta metamorphé - cambiamento della creatura. Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza (anakainósis). Non cambia il vocabolario ma il significato (noûs). 
Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perché questo è sempre poco di fronte alla anakaínosis cristiana. Riflettete su queste parole e vi abbandonerà la vostra ingenua ammirazione per la rivoluzione, il maoismo, la violenza (di cui comunque non siete capaci). 
Il vostro entusiasmo critico e profetico ha già dato buoni frutti e noi, in questo, non vi possiamo indiscriminatamente condannare. Solo ci accorgiamo, e ve lo diciamo sinceramente, che teniamo in maggior stima il calmo e discriminante interrogativo di Paolo: "Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede, fate la prova di voi medesimi. O non conoscete forse neppure che è in voi Gesù Cristo?" (2 Cor 13,5).
Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo (Gv3,16) e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio.
Non 
phroneîn - pensare -, e in conclusione hyperphroneîn - arzigogolare -, ma sophroneîn - pensare con saggezza (Cfr. Rm 12,3). Essere saggi così che possiamo discernere quali sono i segni della volontà e del tempo di Dio. Non ciò che è parola d'ordine del momento, ma ciò che è buono, onesto, perfetto. 
Scriviamo come gente non saggia a voi saggi, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancor più miseri! E questo è stolto perché certamente fra di voi vi sono uomini e donne eccellenti. Ma proprio perché vi è qualcuno occorre scrivere stoltamente, come ha insegnato l'apostolo Paolo quando ha ripreso le parole di Cristo, che il Padre ha nascosto la saggezza a coloro che molto sanno di questo (Lc 10,21)»

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