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11/04/13

Anche in politica l'altro è un bene


Julián Carrón la Repubblica

10/04/2013

Caro Direttore,
cercando di vivere la Pasqua nel contesto degli ultimi eventi accaduti nella Chiesa − dalla rinuncia di Benedetto XVI all’irruzione di papa Francesco −, non ho potuto evitare di pensare alla drammatica situazione in cui versa l’Italia per la difficoltà di uscire dalla paralisi che si è venuta a creare.
Si è scritto molto su questo da parte di persone ben più autorevoli di me per le loro competenze in politica. Non ho alcuna soluzione strategica da suggerire. Mi permetto solo di offrire qualche pensiero, nel tentativo di collaborare al bene di una nazione alla quale mi sento ormai legato per tanti motivi.
Mi pare che la situazione di stallo sia il risultato di una percezione dell’avversario politico come un nemico, la cui influenza deve essere neutralizzata o perlomeno ridotta al minimo. Abbiamo nella storia europea del secolo scorso documentazione sufficiente di analoghi tentativi da parte delle differenti ideologie di eliminarsi a vicenda, che hanno portato alle immani sofferenze di intere popolazioni. 
Ma l’esito di questi sforzi ha portato a una costatazione palese: è impossibile ridurre a zero l’altro. È stata questa evidenza, insieme al desiderio di pace che nessuno può cancellare dal cuore di ogni uomo, che ha suggerito i primi passi di quel miracolo che si chiama Europa unita. Che cosa permise ai padri dell’Europa di trovare la disponibilità a parlarsi, a costruire qualcosa insieme, perfino dopo la seconda guerra mondiale? La consapevolezza della impossibilità di eliminare l’avversario li rese meno presuntuosi, meno impermeabili al dialogo, coscienti del proprio bisogno; si cominciò a dare spazio alla possibilità di percepire l’altro, nella sua diversità, come una risorsa, un bene. 
Ora, dico pensando al presente, se non trova posto in noi l’esperienza elementare che l’altro è un bene, non un ostacolo, per la pienezza del nostro io, nella politica come nei rapporti umani e sociali, sarà difficile uscire dalla situazione in cui ci troviamo.
Riconoscere l’altro è la vera vittoria per ciascuno e per tutti. I primi ad essere chiamati a percorrere questa strada, come è accaduto nel passato, sono proprio i politici cattolici, qualunque sia il partito in cui militano. Ma anche essi, purtroppo, tante volte appaiono più definiti dagli schieramenti partitici che dall’autocoscienza della loro esperienza ecclesiale e dal desiderio del bene comune. Eppure, proprio la loro esperienza di essere «membri gli uni degli altri» (san Paolo) consentirebbe uno sguardo sull’altro come parte della definizione di sé e quindi come un bene. 
In tanti questi giorni hanno guardato la Chiesa e si sono sorpresi di come si sia resa disponibile a cambiare per rispondere meglio alle sfide del presente. In primo luogo, abbiamo visto un Papa che, al culmine del suo potere, ha compiuto un gesto assolutamente inedito di libertà − che ha stupito tutti − affinché un altro con più energie potesse guidare la Chiesa. Poi siamo stati testimoni dell’arrivo di Papa Francesco, che dal primo istante ci ha sorpreso con gesti di una semplicità disarmante, capaci di raggiungere il cuore di chiunque. 
Negli ultimi anni la Chiesa è stata colpita da non poche vicende, a cominciare dallo scandalo della pedofilia; sembrava allo sbando, eppure anche nell’affrontare queste difficoltà è apparsa la sua diversità affascinante.
In che modo la vita della Chiesa può contribuire a misurarsi con l’attuale situazione italiana? Non credo intervenendo nell’agone politico come una delle tante parti e delle tante opinioni in competizione. Il contributo della Chiesa è molto più radicale. Se la consistenza di coloro che servono questa grande opera che è la politica è riposta solo nella politica, non c’è molto da sperare. In mancanza di un altro punto d’appoggio, si afferreranno per forza alla politica e al potere personale e, nel caso specifico, punteranno sullo scontro come unica possibilità di sopravvivenza. Ma la politica non basta a se stessa. Mai come in questo momento risulta così evidente. 
Nella sua povertà di realtà piena di limiti, la Chiesa continua a offrire agli uomini, proprio in questi giorni, l’unico vero contributo, quello per cui essa esiste − e Papa Francesco lo ricorda di continuo −: l’annuncio e l’esperienza di Cristo risorto. È Lui l’unico in grado di rispondere esaurientemente alle attese del cuore dell’uomo, fino al punto di rendere un Papa libero di rinunciare per il bene del suo popolo. 
Senza una reale esperienza di positività, in grado di abbracciare tutto e tutti, non è possibile ripartire. Questa è la testimonianza che tutti i cristiani, a cominciare da chi è più impegnato in politica, sono chiamati a dare, insieme a ogni uomo di buona volontà, come contributo per sbloccare la situazione: affermare il valore dell’altro e il bene comune al di sopra di qualsiasi interesse partitico.


Julián Carrón
Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione

10/03/13

Ed ecco un bel regalo...

E' incredibile come ascoltare e riascoltare le parole di questa intervista suscitino il fascino e il desiderio di una vita che cresce vivendo. 
Il gesto di Papa Benedetto XVI mostra come sia possibile la letizia nell'amore ricambiato di Gesù per ciascuno di noi. 
O è follia o è speranza di vita per sé e per tutti gli uomini di questo tempo confuso e tormentato.

06/03/13

Benedetto XVI ci ha mostrato la bellezza della fede in Cristo.


Una testimonianza della pienezza che solo la fede in Gesù Cristo può dare alla vita di ogni uomo: ad esprimersi così, in riferimento a Benedetto XVI, è don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione (Cl), il quale - nell’intervista di Adriana Masotti - mette in luce uno degli aspetti a suo parere più significativo della persona e del Pontificato di Benedetto XVI:RealAudioMP3 

R. - Io lo riassumerei in un’immagine che tutti abbiamo in mente: la faccia lieta, solare, radiosa con cui il Papa ci ha salutato prima che il portone di Castel Gandolfo venisse chiuso, perché questa letizia che abbiamo visto nel suo volto dice tutto su cos’è per lui Cristo. Solo la presenza reale di Cristo può riempire la vita di un uomo, fino a farla traboccare di questa pienezza che abbiamo visto. Questo è quello che esprime un’immagine, un’esperienza umana che abbiamo visto davanti a noi: qual è la natura del cristianesimo a cui il Papa ha cercato costantemente di introdurci e di testimoniare in ogni modo, cioè come solo Cristo possa rispondere a questa sete di vita che ciascun uomo ha, e la faccia lieta vuol dire che questa risposta c’è. È questa la chiave per capire il suo magistero e tutto quanto quello che lui ci ha comunicato.

D. – Che cosa ha rappresentato Benedetto XVI in particolare per Comunione e Liberazione?

R. – Per noi, è stato un testimone di Cristo che ha avuto l’audacia e la grandezza di mostrarci la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Per questo l’abbiamo guardato, seguito e letto i suoi discorsi e omelie quasi quotidianamente.

D. – Lungo gli otto anni di Pontificato di Benedetto XVI c’è stato un momento di particolare vicinanza a Cl che lei desidera ricordare?

R. – Rimarrà sempre nei nostri ricordi, prima che diventasse Papa, il funerale di don Giussani: il fatto che lui abbia voluto presiederlo e che abbia detto quello che ha detto su don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, e poi l’udienza che ha concesso a tutto il movimento in Piazza San Pietro e più di recente l’udienza che ha dato ai nostri amici della Fraternità di San Carlo Borromeo – fraternità sacerdotale – dove ha ribadito la sua amicizia con don Giussani. Sarebbe però riduttivo fermarsi soltanto a questi gesti, perché per noi Benedetto XVI è stato una compagnia costante, una luce che ci ha aiutato a vivere la fede oggi, che ce l’ha resa interessante, che ci ha fatto capire qual è il valore della ragione nel rapporto con la fede. Non possiamo non entrare in dialogo con le domande degli uomini, non possiamo mai dimenticare che l’iniziativa è sempre di Dio e che il cristianesimo è un avvenimento che accade nella vita e che la risveglia e che non può ridurre la vita della Chiesa a una organizzazione. Tutto questo è quello che è stato per noi: qualcosa di prezioso per la nostra storia. 

D. – Gli aderenti di Comunione e Liberazione come vivono questi giorni di attesa per la nomina del nuovo Pontefice?

R. – Noi, sulla scia di quanto ci ha suggerito lo stesso Papa Benedetto XVI prima di lasciarci, attendiamo nella preghiera. Preghiamo perché il Signore ci dia il Pastore di cui la Chiesa oggi ha bisogno, chiediamo che il Signore e lo Spirito illuminino i cardinali affinché possano identificare - secondo il disegno di Dio - la persona che il Signore ha scelto per guidare il suo popolo. Siamo in attesa, come tutta la Chiesa, trepidanti, ma allo stesso tempo con la pace che il gesto di rinuncia di Benedetto XVI ci ha trasmesso. La certezza della presenza di Cristo nella Chiesa è quello che ha reso possibile il gesto di Papa Benedetto. Per questo siamo totalmente fiduciosi, perché la presenza di Cristo adesso è più palese che mai.

D. – Don Carron ci affidiamo allo Spirito, ma se lei dovesse fare un auspicio, come si augura sarà il nuovo Papa?

R. – Un uomo di fede, appassionato di Cristo, che risvegli sempre di più la nostra fede perché possiamo riscoprire qual è la sua bellezza, qual è la sua capacità di rispondere a tutte le sfide della vita e avere uno a cui guardare per imparare a diventare cristiani in questi tempi in cui siamo chiamati a vivere la fede.


25/12/11

La tentazione del Natale

Juliàn Carròn

Per descrivere la nostra umanità e per guardare in modo adeguato noi stessi in questo momento della storia del mondo, difficilmente potremmo trovare una parola più adeguata di quella contenuta in questo brano del profeta Sofonìa: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele». Perché? Che ragione c’è di rallegrarsi, con tutto quello che sta accadendo nel mondo? Perché «il Signore ha revocato la tua condanna».

Il primo contraccolpo che hanno provocato in me queste parole è per la sorpresa di come il Signore ci guarda: con uno sguardo che riesce a vedere cose che noi non saremmo in grado di riconoscere se non partecipassimo di quello stesso sguardo sulla realtà: «Il Signore revoca la tua condanna», cioè il tuo male non è più l’ultima parola sulla tua vita; lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri in continuazione non è vero. L’unico sguardo vero è quello del Signore. E proprio da questo potrai riconoscere che Egli è con te: se ha revocato la tua condanna, di che cosa puoi avere paura? «Tu non temerai più alcuna sventura». Un positività inesorabile domina la vita. Per questo - continua il brano biblico - «non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia». Perché? Perché «il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente». Non c’è un’altra sorgente di gioia che questa: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-17). 

Che queste non sono rimaste solo parole, ma si sono compiute, è ciò che ci testimonia il Vangelo; nel Bambino che Maria porta in grembo, quelle parole sono diventate carne e sangue, come ci ricorda in modo commovente Benedetto XVI: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito» (Deus caritas est, 12). Ed è un fatto talmente reale nella vita del mondo che non appena Elisabetta riceve il saluto da Maria, il bambino che porta nel grembo – Giovanni – sussulta di gioia. Quelle del Profeta non sono più soltanto parole, ma si sono fatte carne e sangue, fino al punto che questa gioia è diventata esperienza presente, reale: «Ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,39-45).

Domandiamoci: il cristianesimo è un devoto ricordo o è un avvenimento che accade oggi esattamente come è accaduto duemila anni fa? Guardiamo i tanti fatti che i nostri occhi vedono in continuazione, che ci sorprendono e ci stupiscono, a cominciare da quel fatto imponente che si chiama Benedetto XVI e che ogni volta fa sussultare le viscere del nostro io. C’è Uno in mezzo a noi che fa sussultare il “bambino” che ciascuno di noi porta in grembo, nel nostro intimo, nella profondità del nostro essere. Questa esperienza presente ci testimonia che l’episodio della Visitazione non è soltanto un fatto del passato, ma è stato l’inizio di una storia che ci ha raggiunto e che continua a raggiungerci nello stesso modo, attraverso incontri, nella carne e nel sangue di tanti che incontriamo per la strada, che ci muovono nell’intimo. 

È con questi fatti negli occhi che possiamo entrare nel mistero di questo Natale, evitando il rischio del “devoto ricordo”, di ridurre la festa a un puro atto di pietà, a devozione sentimentale. In fondo, tante volte la tentazione è di non aspettarsi granché dal Natale. Ma a chi è data la grazia più grande che si possa immaginare - vederLo all’opera in segni e fatti che Lo documentano presente - è impossibile cadere nel rischio di celebrare la nascita di Gesù come un “devoto ricordo”. Non ci è consentito! E non perché siamo più bravi degli altri fratelli uomini, non perché non siamo fragili come tutti, ma perché siamo riscattati di continuo da questo nostro venir meno per la forza di Uno che accade ora e che revoca la nostra condanna. 

È solo con questi fatti negli occhi che potremo guardare il Natale che viene: non con una nostalgia devota, non col sentimento naturale che sempre provoca in noi un bambino che nasce e neppure con un vago sentimento religioso, ma in forza di una esperienza (perché tutto il resto non produce altro che una riduzione di “quella” nascita). Dove si rivela veramente chi è quel Bambino è in questa esperienza reale: il figlio di Elisabetta ha sussultato di gioia nel suo grembo. È il rinnovarsi continuo di questo avvenimento che ci impedisce di ridurre il Natale e che ce lo può fare gustare come la prima volta.

(L'Osservatore Romano 24.12.2011)

04/08/10

Chi può fare compagnia a chi soffre se non chi vibra di passione per Cristo, se non chi ama la propria umanità?

Da: padre Aldo TRENTO Data: Tue, 3 Aug 2010 18:28:27 -0400 Oggetto: lettera 020810

Cari amici
Guardate le meraviglie del Signore. Ieri nella clinica abbiamo battezzato tre bambini miei (della Casetta di Betlemme) e tre di un giovane papá che sta morendo e desiderava vedere i suoi figli, cristiani prima di morire. È stato una festa. 
In particolare per la mia piccola Maria Vittoria Miracolo, incontrata abbandonata in una borsa di plastica in mezzo all'erba di una piazza. È bellisssima. Lei abbandonata della mamma, ma salvata della tenerezza di Dio, che si occupa di ognuno di noi. E noi ci occupiamo gli uni degli altri? Quanto bisogno di tenerezza ha ogni uomo, in particolare chi soffre. L'altro giorno mi è giunta notizia di una giovane donna che andava alle Scuola di Comunità, trovata impiccata dopo alcuni giorni e accanto a lei il cagnolino. 
Che dolore! 
Se non seguiamo Carron che giustamente ci "bastona" perchè possiamo capire cosa vuol dire lavoro personale fare esperienza questi fatti seguiranno accadendo perché, chi può fare compagnia a chi soffre se non chi vibra di passione per Cristo, se non chi ama la propria umanità? Carron ci dice che solo le pietre non si commuovono. 
Guardare questi miei bambini, rinati da una tenerezza di Cristo è volere solo Cristo, è volere un cuore grande per amare l'uomo. Che bella la SdC. che ci fa fare Carron, perchè con lui i discorsi sono finiti, cosi le prediche, le esortazioni, le frasi fatte. Per me una grazia unica altrimenti come farei di fronte ad un oceano da dolore.
Ciao.
P. Aldo

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