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14/02/13

La cosa più importante


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 13 febbraio 2013

Cari fratelli e sorelle,
come sapete - grazie per la vostra simpatia! - ho deciso di rinunciare al ministero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. Ringrazio tutti per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato. Grazie! Ho sentito quasi fisicamente in questi giorni, per me non facili, la forza della preghiera, che l’amore della Chiesa, la vostra preghiera, mi porta. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà.




Le tentazioni di Gesù e la conversione per il Regno dei Cieli

Cari fratelli e sorelle,
oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo il Tempo liturgico della Quaresima, quaranta giorni che ci preparano alla celebrazione della Santa Pasqua; è un tempo di particolare impegno nel nostro cammino spirituale. Il numero quaranta ricorre varie volte nella Sacra Scrittura. In particolare, come sappiamo, esso richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere il Monte di Dio, l’Horeb; come pure il periodo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal diavolo. Nell’odierna Catechesi vorrei soffermarmi proprio su questo momento della vita terrena del Signore, che leggeremo nel Vangelo di domenica prossima.
Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane (cfr Lc 4,1-13). Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sè la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione.
Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita? Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare (cfr vv. 3-4). Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore (cfr vv. 5-8). Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto (cfr vv. 9-12). Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E’ la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E’ Lui il Signore o sono io?
Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.
Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.
Ci sono di esempio e di stimolo le grandi conversioni come quella di san Paolo sulla via di Damasco, o di sant’Agostino, ma anche nella nostra epoca di eclissi del senso del sacro, la grazia di Dio è al lavoro e opera meraviglie nella vita di tante persone. Il Signore non si stanca di bussare alla porta dell’uomo in contesti sociali e culturali che sembrano inghiottiti dalla secolarizzazione, come è avvenuto per il russo ortodosso Pavel Florenskij. Dopo un’educazione completamente agnostica, tanto da provare vera e propria ostilità verso gli insegnamenti religiosi impartiti a scuola, lo scienziato Florenskij si trova ad esclamare: “No, non si può vivere senza Dio!”, e a cambiare completamente la sua vita, tanto da farsi monaco.
Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97). Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”.
La capacità di contrapporsi alle lusinghe ideologiche del suo tempo per scegliere la ricerca della verità e aprirsi alla scoperta della fede è testimoniata da un’altra donna del nostro tempo, la statunitense Dorothy Day. Nella sua autobiografia, confessa apertamente di essere caduta nella tentazione di risolvere tutto con la politica, aderendo alla proposta marxista: “Volevo andare con i manifestanti, andare in prigione, scrivere, influenzare gli altri e lasciare il mio sogno al mondo. Quanta ambizione e quanta ricerca di me stessa c’era in tutto questo!”. Il cammino verso la fede in un ambiente così secolarizzato era particolarmente difficile, ma la Grazia agisce lo stesso, come lei stessa sottolinea: “È certo che io sentii più spesso il bisogno di andare in chiesa, a inginocchiarmi, a piegare la testa in preghiera. Un istinto cieco, si potrebbe dire, perché non ero cosciente di pregare. Ma andavo, mi inserivo nell’atmosfera di preghiera…”. Dio l’ha condotta ad una consapevole adesione alla Chiesa, in una vita dedicata ai diseredati.
Nella nostra epoca non sono poche le conversioni intese come il ritorno di chi, dopo un’educazione cristiana magari superficiale, si è allontanato per anni dalla fede e poi riscopre Cristo e il suo Vangelo. Nel Libro dell’Apocalisse leggiamo: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3, 20). Il nostro uomo interiore deve prepararsi per essere visitato da Dio, e proprio per questo non deve lasciarsi invadere dalle illusioni, dalle apparenze, dalle cose materiali.
In questo Tempo di Quaresima, nell’Anno della fede, rinnoviamo il nostro impegno nel cammino di conversione, per superare la tendenza di chiuderci in noi stessi e per fare, invece, spazio a Dio, guardando con i suoi occhi la realtà quotidiana. L’alternativa tra la chiusura nel nostro egoismo e l’apertura all’amore di Dio e degli altri, potremmo dire che corrisponde all’alternativa delle tentazioni di Gesù: alternativa, cioè, tra potere umano e amore della Croce, tra una redenzione vista nel solo benessere materiale e una redenzione come opera di Dio, cui diamo il primato nell’esistenza. Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.

03/04/10

Lettera dei carcerati di Padova: un abbraccio ci libera dall’oscurità

Senza commento: parla da sola.
Da Il Sussidiario (clicca sulla foto)
Carissimi amici,

In questo periodo di Quaresima, la serenità e tutta questa grazia che il Signore ci sta donando ci fa sentire sempre di più che siamo Suoi, che dipendiamo da Lui, che senza il Suo continuo amore non potremmo vivere. Ci rendiamo conto ogni giorno, in ogni risveglio che tutta questa grazia deriva solo ed esclusivamente da Lui. Nelle preghiere che ci vengono spontaneamente da recitare in qualsiasi posto, emerge che la Sua presenza è costante, che non ci abbandona, ma ci stringe sempre di più a sé proprio come figli. Convivere con Gesù presente non è più un sacrificio, è una vera letizia; a volte ci sentiamo complici di Gesù, ci fa vedere cose che ci spaventano perché trasforma le persone come noi.
Guardando il passato ci rendiamo conto sempre di più che solo uno come Lui poteva renderci così mansueti e innocui. Iniziamo a capire veramente chi eravamo e chi siamo oggi. Se guardiamo il passato, ci facciamo paura pensando a tutto il male che abbiamo commesso. Oggi è bello vivere nella luce, senza che nessuno pronunci il nostro nome solo per dire il nostro male, ma quanto bello è sentire quel bisbiglio del cambiamento fatto grazie al Signore attraverso degli amici veri. Non avremmo mai scommesso nulla su di noi, era impossibile che noi potessimo essere così oggi.
Quando Margherita Coletta ci è venuta a trovare in carcere prima di Natale, ci ha detto: «Esiste una cosa che Gesù ci ha lasciato, un sacramento, che per me è importantissimo, ed è quello della confessione. In quel momento, nell'istante stesso che uno si avvicina a questo sacramento è libero, ma libero veramente, ci dovete credere. Qualsiasi peccato che ognuno di noi abbia potuto commettere da quell'istante non c'è più, è cancellato, non esiste più. Non bisogna nemmeno ripensarci, perché sarebbe del diavolo: in quell'istante tutto è cancellato. Dio è buono, è un padre misericordioso che accoglie tutti». È proprio vero. Oggi vediamo il nostro cuore pieno di Gesù e Lo preghiamo costantemente che non ci faccia ricadere nell’oscurità dove per un lungo periodo abbiamo vissuto. Non è semplice trovare le parole giuste perché la commozione è tanta, solo oggi capiamo e cerchiamo di dare un senso a quei gesti terribili. Quante volte abbiamo chiesto al Signore di prendersi la nostra vita e di ridarla a chi l’abbiamo tolta.
Ci rimarrà sempre impresso nelle nostre menti quello che aveva scritto in una lettera indirizzata al Papa il nostro amico Ilario, lui che poco prima di morire per un male atroce ha rubato il Paradiso come il buon ladrone, ricevendo l’estrema unzione: «Ricordatevi che, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la pena e anche, quando la si è finita di scontare, il dolore che rimane nel cuore è grande». Ecco perché vivere in isolamento, stare in carcere ci ha fatto solo del bene e non siamo impazziti. A chi piacerebbe vivere in un luogo simile senza un attimo di privacy, anche se, sapendo di essere in colpa, in quel posto trovi un rifugio dove nessuno ti può toccare e vedere, dove le tue vergogne vengono occultate?
Oggi invece, che grazia ci ha fatto il Signore. Ha voluto che ci trovassimo al posto giusto nel momento giusto per farci capire ancora una volta che Lui ci ama tutti nello stesso modo. Essere stati lì accanto al nostro Pietro mentre ritirava il suo primo permesso è stato il regalo più bello della giornata, sì perché di regali così ce ne dà di continuo. Ci sono scese le lacrime ancora una volta, non per un dolore ma per una gioia fraterna che proviamo per un vero Fratello. Quanta grazia ci dà ogni giorno il nostro Gesù e quanto è presente. Sta a noi tenerlo in vita, senza ricordarlo come un “fu Gesù”, ma con un c’è Gesù in tutto e in tutti noi. Se si potesse fotografare le emozioni, anche questa sera, qui in mezzo alla nostra piccola comunità, ci vorrebbe Clint Eastwood con una pellicola gigantesca e ancora non basterebbe. Se questo si chiama miracolo o Mistero non lo sappiamo, ma sappiamo che è una vera letizia vivere così, in questo posto dove tutto si potrebbe dire ma non che sia un posto piacevole.
Duemila anni fa abbiamo fatto un errore nel giudicare Gesù colpevole solo perché voleva avvisarci di quanto sbagliavamo, e noi abbiamo sbagliato molto. Oggi sentire l’abbraccio di Cristo così forte e pieno di quell’amore che solo Lui sa dare, ci fa sentire quanto sia povero il nostro cuore di fronte a Lui. Con la Santa Pasqua della Resurrezione possano tutti sentire l’Amore e l’abbraccio di Gesù Cristo come lo sentiamo noi.
Desideriamo augurare una Santa Pasqua a tutti gli amici e alle loro Famiglie. Vostri amici in Cristo.

Un gruppetto di detenuti della Casa di Reclusione di Padova

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