Sono Cecco, fisioterapista all’Ospedale di Rimini. Qualche tempo fa ho subito un infortunio sul lavoro. Una caduta sciocca, come si dice: si sale su una sedia per sistemare alcune cose sull’armadio, si scende distrattamente…un dolore acuto alla mano, la visita in Pronto Soccorso, le radiografie, nessuna frattura, una semplice stecca al quarto dito della mano destra, dieci giorni di prognosi.
Che fortuna!
Magari.
Si toglie la stecca, il dito mantiene il suo gonfiore, la mano l’impotenza funzionale. Comincio a rieducarla, leggeri massaggi drenanti, mobilizzazione, riabilitazione in acqua. Altri 10 giorni di prognosi, poi altri 10.La mano accenna lentamente a migliorare. Un medico serio mi rivela che sarebbe stata meglio una frattura. Il sostituto del mio medico di base mi visita e mi chiede 40 euro per il certificato INAIL, che mi dicono, dovrebbe essere rilasciato gratuitamente. Gli obietto che il mio medico non mi ha mai richiesto nulla. Mi risponde che all’INAIL mi risarciranno. Telefono al mio medico di base per una semplice informazione: si nega perché è in ferie. Vado all’INAIL per un'informazione, che mi è gentilmente fornita. Torno dopo mezz’oretta, l’addetto sta fumando una giusta sigaretta fuori, chiedo una sciocchezza, m'invia agli ambulatori. Aspetto pazientemente l’arrivo dell’infermiera, che conosco e stimo. E’ molto indaffarata. Un semplice cartellino blu risponde alla mia domanda: il sabato non ci sono visite. Il certificato mi scade sabato e, causa le nuove procedure informatiche – mi avvisa un cartello – le visite subiranno notevoli ritardi. Ero andato per prenotare la mia; andrò lunedì dal mio medico, che torna dalle ferie.
Dio solo sa come andrà a finire.
Non sono Prodi né Padoa Schioppa, cui basta una firma per dragare milioni di euro di tasse per ripianare il debito pubblico o versare altrettanti milioni per chiudere il buco delle spese sanitarie. Sono un semplice fisioterapista pubblico, collaboratore, con nessuna voce in capitolo sul lavoro assegnato, i miei dirigenti non accettano nemmeno consigli o suggerimenti per come operare meglio, devo solo eseguire ordini superiori, che arrivano da altri superiori dei miei superiori e via via fino all’Assessore regionale alla Sanità della mia Regione Emilia-Romagna, presentata dalla propaganda ufficiale come la migliore nel mondo intero.
Falsità.
Ricordo bene, per esperienza diretta, l’Ospedale di Rimini con le suore come caposala e direttrici della Scuola-Convitto per infermiere. Avevano un unico criterio di azione: l’amore a Cristo e l’attenzione al malato. Poi facevano tutti gli sbagli umani che tutti conosciamo, ma l’ammalato era al centro della loro attività diurna e notturna, non certo l’organizzazione "perfetta" o il "controllo democratico".
Assistito ed abbandonato. Tutto conta prima di me: le regole, l’organizzazione, il sistema, la ricerca. Per chi?
Ripenso a me stesso: quante volte, per pigrizia, comodo, stanchezza, ho trascurato anche io i pazienti che mi erano affidati.
Il vero problema della Sanità, il vero costo è il disinteresse degli operatori.
Come in una famiglia. Va a rotoli, quando i coniugi cominciano a trascurarsi e disinteressarsi, piano piano, dalle cose piccole alle grandi. Come una valanga, che comincia da un pugno di neve che slitta.
Chissà perché in Italia gli Ospedali più vivi sono la Casa Sollievo della Sofferenza nata dalla carità di Padre Pio e il San Raffaele di Milano, nato dalla capacità imprenditoriale di Don Verzè. Con tutti i pregi e i difetti che contraddistinguono tutti gli umani, ma certamente con un senso ed un perché al lavoro di assistenza ai malati.
E sono produttivi di ricchezza, non di debiti.
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