18/08/10

Libertas Ecclesiae, laicità dello Stato

Tutti pecchiamo e tutti sbagliamo, per carità. In questi giorni ne ho combinata una davvero grossa; ma, come ha richiamato il mio amico Bubi (Don Stefano), è sempre dato di ricominciare, perché c'è un Altro fra noi.
Ripropongo allora le parole che Francesco Cossiga, di cui oggi tutti piangiamo la morte, disse pochi mesi fa in un convegno su "Libertas Ecclesiae, laicità dello Stato", in questo momento davvero confuso della nostra amata Italia.
Il testo integrale, con gli interventi di Giorgio Vittadini, Antonio Polito e Roberto Fontolan si trova sul sito del Meeting per l'amicizia fra i popoli, prossimo ad aprirsi a Rimini in questo fine settimana.

Francesco Cossiga: Io stavo per portare qui due documenti: uno è la Magna Charta, che viene considerato il primo atto fondante di un sistema di stato di potere sovrano limitato. Una delle frasi fondamentali della Magna Charta dice: “Libertas ecclesiae anglicanae servanda sit”. Voi dovete sapere che il termine “Chiesa Anglicana” è un termine più antico dello scisma: la Chiesa d’Inghilterra, cattolica, prima dello scisma era chiamata Ecclesia Anglicana. Quindi il fondamento delle libertà della Magna Charta è: “Sia preservata e difesa la libertà della Chiesa Anglicana”. 
Uno degli uomini più colti e più grandi dell’Europa, insieme a Erasmo da Rotterdam, Sir Thomas Moore, morì in difesa della libertà di coscienza. Egli è stato testimone certamente della Chiesa, ma è stato colui che ha affermato i limiti dei poteri del Parlamento rispetto alle libertà di coscienza del cittadino. Tanto che un suo amico canonico della Cattedrale di San Paolo, che gli scrisse in carcere scongiurandolo di firmare il famoso atto che lui non volle firmare, gli disse: “Se io avessi la certezza che tu hai, firmerei. Perché se tu non firmassi con questa coscienza che ti si è formata, andresti all’inferno. Io andrei all’inferno, se firmassi”. 
Gli Stati Uniti hanno avuto due momenti di migrazioni per motivi religiosi, anche se ne conosce solo uno. Uno è quello dei padri pellegrini dissenters, cioè protestanti, dissenzienti dalla Chiesa d’Inghilterra. Il secondo, la gente non lo sa, riguarda i cattolici dissenzienti a cui la Corona d’Inghilterra permise di espatriare sotto la guida di Sir Edward Calvert, poi Lord Baltimore - da cui la città di Baltimora -, che fondarono il Maryland, per molto tempo l’unico stato a maggioranza cattolica degli Stati Uniti d’America, delle colonie. 
Un grande liberale, Francesco Ruffini, disse che la libertà religiosa non è solo la libertà di non credere ma è anche libertà di credere: è la prima delle libertà, e dove non vi sia libertà religiosa, nel senso di libertà di credere e di non credere, non ci può essere nessun altra libertà. Io credo che la grande confusione che c’è in questo momento segue la scomparsa delle ideologie: il comunismo, il marxismo-leninismo, il socialismo e le altre. Le grandi ideologie e culture europee hanno lasciato un vuoto che dà origine, per esempio, all’ideologia “Chirachiana”, per cui la libertà consiste nel vietare la libertà, dove la laicità è sostituita dal laicismo e il laicismo è elevato a religione. Per cui si educa la libertà non insegnando ai ragazzi cattolici a rispettare le ragazze musulmane col velo, o i ragazzi ebrei con la kippah e viceversa, ma la libertà consiste nell’impedire alle ragazze musulmane di portare il velo, ai ragazzi e alle ragazze ugonotte di portare la croce ugonotta, a quelli cattolici di portare la croce latina, come viene chiamata in Francia, e ai ragazzi ebrei di portare la kippah. Messi su questa strada, io non riesco a comprendere che cosa rimarrà del valore della libertà e della libertà religiosa intesa come libertà di non credere, ma, ahimé, anche come libertà di credere. 
(...)
Francesco Cossiga: Direi che il fatto che io sia stato presidente è totalmente irrilevante. Innanzitutto vorrei dare un consiglio agli amici di Comunione e Liberazione: al prossimo Meeting, non in contrapposizione ma in integrazione a Costantino io distribuirei anche un libretto: la “Lettera a Diogneto”, che è un capolavoro di laicità, dove è detto che il cristiano non si differenzia dagli altri per come mangia, per come veste, per come parla, ma soltanto per come vive. 
Debbo dire una cosa, io credo che preziosa per la cultura e anche per la Chiesa sia la speculazione teologica, però c’è stato il grande pericolo, e c’è tuttora, di identificare la fede con la teologia, e di non comprendere che il cristianesimo non è un sistema di principi, ma è un fatto. Che poi su questo fatto la ragione umana speculi e sulla base della filosofia classica tragga dei principi, non dico per opporsi, ma per confrontarsi con altri principi, questo è perfettamente logico. Ma l’adesione al cristianesimo non è l’adesione a dei principi: è l’adesione a un fatto che genera poi dei principi. Nostro Signore Gesù Cristo non è un filosofo, è una persona, che noi cristiani crediamo sia anche Dio, ma che è nato in un’epoca storica, in un posto preciso. Io una volta ho detto che è come una lama di luce che ha colpito un luogo storico. I principi non hanno un posto: la filosofia aristotelica non è la filosofia di Atene, è la filosofia aristotelica e basta, non ha luogo. Il cristianesimo invece ha un luogo, che è la Palestina, e poi Roma, per un fatto molto semplice: che la sua vocazione universale l’ha messo in quella che era la capitale del mondo civile di allora, se la capitale fosse stato Vilnius, il papato avrebbe sede a Vilnius, se il mondo avesse avuto Colonia come capitale il papato sarebbe stato a Colonia.
Io vi consiglierei di far stampare e diffondere quello che per i cristiani è la Bibbia della loro laicità: la “Lettera a Diogneto”: “Vestono come tutti, mangiano come tutti, hanno un imperatore come tutti...”. Un esempio di questo è dato dalla legione tebana, composta di fedelissimi soldati orientali dell’imperatore che, dopo aver combattuto per lui, furono massacrati perché non avevano voluto sacrificare agli dei. 
Poi, io vorrei far pubblicare una collezione di articoli, di fronte a quello che io credo sia uno dei più cattivi maestri dell’Europa di oggi: Chirac. Chirac è un cattivo maestro perché sta introducendo lentamente un’idea di libertà che si basa sulla negazione della libertà e del rispetto delle differenze. Io vorrei poi che si pubblicassero due cose: gli articoli di un certo Cesar, che era alternativamente Togliatti e il mio conterraneo sardo Gramsci, su Ordine Nuovo e il discorso che, ignorato da molti, è la vera svolta del pensiero di Palmiro Togliatti: il discorso di Bergamo, dove dice che “bisogna ormai prendere atto che, contrariamente all’ortodossia marxista, la religione non è una sovrastruttura della società ma ne è una componente essenziale”. E questo libretto con gli scritti di Cesar e il discorso di Togliatti, io lo manderei perché lo leggessero molti cattolici, molti preti, molti vescovi e anche qualche cardinale. 
Una delle cose che bisogna chiarire è che il cristianesimo contiene e testimonia una serie di verità che storicamente non si possono confinare al solo cristianesimo. Per esempio, io in questi giorni ho letto una traduzione malfatta dal tedesco, sulle leggi di Noè, i sette comandamenti noetici, che sono il vero fondamento dell’ecumenismo. Alcune cose fanno parte delle verità insite nella natura umana. 
Prima è stata detta una cosa importante che ci ha trovato consenzienti: ha detto una cosa, l’amico Polito, straordinaria: senza la forza di aver dietro un’ideologia in Italia, e questa è una colpa di noi cattolici, noi abbiamo realizzato nelle strutture, senza che fosse animato dall’ideologia, un tipo di socialismo reale che abbiamo passato per dottrina sociale cattolica, ed è stato un tentativo di adattamento di alcune strutture classiche dell’economia socialista, anzi comunista. Vi è una grossa differenza tra il marxismo di Lenin e quello di Stalin: l’idea forse utopica di Lenin era quella di una democrazia dal basso basata su i soviet – lui esagerava perché diceva che il socialismo sono i soviet più l’elettrificazione. Non sarebbe andato molto avanti con l’edificazione dell’Unione Sovietica. Però il punto è questo: che la persona viene prima dello stato, ed è purtroppo un lascito veramente dannoso del liberalismo hegeliano tedesco quello di considerare la libertà come un’autolimitazione dello stato. E’ la persona che limita lo stato e i poteri dello stato sono frutto dell’autolimitazione della persona, non è la libertà della persona il frutto dell’autolimitazione dello stato. E questa è una cosa che mi sembra molto importante. 
(...)
Francesco Cossiga: Io vi voglio spiegare perché su di me, cristiano, hanno esercitato un fascino che alcuni hanno considerato perverso, il marxismo e il liberalismo di marca anglosassone – che è cosa diversa dal liberalismo tedesco, mentre quello di Chirac è soltanto giacobinismo –. Quando il marxismo teorizza la classe, in realtà teorizza il popolo, e considera – come dovrebbe essere anche per un pensiero classico cristiano – non la società come uno strumento dello stato, ma lo stato come strumento della società, che viene chiamata “classe”, ma su questo si potrebbe discorrere. E così il liberalismo anglosassone è basato non sullo stato che concede le autonomie, ma sulle autonomie che creano, poi salendo, lo stato. E’ quello che capì Toqueville quando andò in America e scoprì che la forza della democrazia americana era l’associazione delle donne coltivatrici del cavolo…Ecco, io credo che ci sia un solo stato che può pretendere, cercare di rispondere a tutte le richieste dei cittadini: ed è, fallendo, la dittatura. 

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