18/03/09

Sopra e sotto l'Equatore

Due fatti ci interpellano in questi giorni.
In Brasile una bambina di 9 anni è rapita e fatta abortire: la vita fa paura.
In Camerun il Papa apprezza la concordia e la scelta per la vita di un Paese africano, uscito dal colonialismo, come tanti, appena 50 anni fa.
Di fronte alle stesse sfide c'è chi opera con speranza e chi offre solo morte.

Per saperne di più "fiondatevi" sul sito di Ida
Ci sono i documenti esplicativi.

La bambina di Alagoinha e noi

Non conosciamo il nome “della bambina di Alagoinha”..., che all'età di nove anni è rimasta incinta dopo aver subito un abuso dal patrigno e ha abortito. E molti in questi giorni non si preoccupano di pensare che è lei la prima che, in momenti tristi come questo, avrebbe bisogno di una carezza del Nazareno.

La bambina di Alagoinha e noi – che ci troviamo nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, al potere o scrivendo sui giornali – abbiamo bisogno di una dolcezza che ci abbracci e che risvegli un’affezione per noi stessi. Perché altrimenti il sentimento che prevale è solamente la stanchezza: basta che le difficoltà del vivere quotidiano, o meglio, il mistero attraverso cui la vita ci sfida, superi di poco la nostra misura che noi ci sentiamo distrutti. E intanto difendiamo, con tutta la nostra resistenza, il nostro scandalo di fronte a ciò che non comprendiamo.

Ma di fronte a un fatto così drammatico, tutte queste parole sembrano inutili. La vita è un inganno? Possiamo dare un senso alla vita quando ci troviamo di fronte a dei fatti come questo? Possiamo sopportare una tale sofferenza? Da soli sicuramente no, non ci riusciamo. È necessario che scopriamo e incontriamo la presenza di qualcuno che sperimenti una pienezza nella vita, in modo che possiamo vedere e recuperare la speranza che tutto non finisce in un vuoto devastante.

Nemmeno Cristo ha avuto timore dell’angustia legata al dolore e al male fino alla morte. Ma allora cos’è che ha fatto la differenza in Lui? È una persona che è stata più coraggiosa di noi? No! Tanto che nel momento più terribile della sua prova, ha chiesto che la croce gli fosse risparmiata. In Cristo, è stato vinto il sospetto che la vita, in ultima istanza, sia un fallimento: ciò che ha vinto è stato il suo legame con il Padre.

Benedetto XVI ci ha ricordato che «la vera risposta consiste nel testimoniare l’amore che ci aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Di questo siamo certi: nessuna lacrima di chi soffre, e nemmeno di quelli che gli stanno vicino, si perderà davanti a Dio» (Angelus, 1 febbraio 2009).

Per questo noi siamo vicini alla bambina di Alagoinha e alla Chiesa, che non si stanca di insegnarci, all'interno degli avvenimenti della storia, che non possiamo ripagare il male con il male. Consideriamo l’aborto come una seconda violenza su questa bambina, un gesto così lascia dei segni molto profondi per tutta la vita, e una bambina che aveva già sofferto tanto non meritava di ricevere un’ulteriore violenza. La vita è dono di Dio e in nome di chi l’uomo decide quando la vita viene donata o viene tolta?

La presenza di Cristo è l’unico fatto che può dare un senso al dolore e all’ingiustizia. Riconoscere la positività che vince qualsiasi solitudine e qualsiasi violenza è possibile solo grazie all’incontro con persone che testimoniano che la vita vale più della malattia e della morte. Come ci ha testimoniato Vicky, ripresa nel documentario che ha vinto a Cannes nel 2008: una donna sieropositiva dell'Uganda, che ha accettato questo sguardo su di sé, ha riscoperto la propria dignità e oggi aiuta centinaia di altre persone in una ONG del suo Paese. Questa è la vita nuova che tutti desideriamo, malgrado il male del mondo e il nostro male.

Questa è la vita che la bambina di Alagoinha desidera ora.

Movimento Cattolico di Comunione e Liberazione (www.cl.org.br)

BENEDETTO XVI

Viaggio Apostolico in Camerun e in Angola

Cerimonia di Benvenuto all'aeroporto Nsimalen di Yaoundé (Camerun)

17 marzo 2009

 

 Signor Presidente,

Illustri Rappresentanti delle Autorità civili,

Signor Cardinale Tumi,

Venerati Fratelli Vescovi,

Cari fratelli e sorelle,

grazie per il benvenuto con cui mi avete accolto. E grazie a Lei, Signor Presidente, per le Sue gentili parole. Apprezzo grandemente l’invito a visitare il Camerun e per questo desidero esprimere la mia riconoscenza a Lei ed al Presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, l’Arcivescovo Tonyé Bakot. Porgo il mio saluto a tutti voi che mi avete onorato con la vostra presenza in questa circostanza, e desidero che sappiate quale gioia mi procura l’essere tra voi in terra africana, per la prima volta dalla mia elezione alla Sede di Pietro. Saluto affettuosamente i miei Fratelli Vescovi, come pure il clero e i fedeli laici qui convenuti. Il mio rispettoso saluto va anche ai Rappresentanti del Governo, alle Autorità civili e al Corpo diplomatico. Dal momento che questa Nazione, così come numerose altre in Africa, si avvicina al cinquantesimo anniversario della sua indipendenza, desidero aggiungere la mia voce al coro dei rallegramenti e degli auspici che i vostri amici in ogni parte del mondo vi invieranno in tale lieta occasione. Con gratitudine registro la presenza di membri di altre Confessioni cristiane e di seguaci di altre religioni. Unendovi a noi in questo giorno, voi offrite un chiaro segnale della buona volontà e dell’armonia che esiste in questo Paese tra persone di differenti tradizioni religiose.

Vengo tra voi come pastore. Vengo per confermare i miei fratelli e le mie sorelle nella fede. Questo è stato il compito che Cristo ha affidato a Pietro nell’Ultima Cena, e questo è il ruolo dei successori di Pietro. Quando Pietro predicò alla moltitudine in Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, erano presenti tra loro anche visitatori provenienti dall’Africa. La testimonianza poi di molti grandi santi di questo Continente durante i primi secoli del cristianesimo – San Cipriano, Santa Monica, Sant’Agostino, Sant’Atanasio, per nominarne solo alcuni – assicura all’Africa un posto di distinzione negli annali della storia della Chiesa. Fino ai giorni nostri schiere di missionari e di martiri hanno continuato ad offrire la loro testimonianza a Cristo in ogni parte dell’Africa, e oggi la Chiesa è qui benedetta con la presenza di circa centocinquanta milioni di fedeli. Quanto appropriata è dunque la decisione del Successore di Pietro di venire in Africa per celebrare con voi la vivificante fede in Cristo, che sostiene e nutre un così gran numero di figli e figlie in questo grande Continente.

Fu qui a Yaoundé nel 1995 che il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, promulgò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, frutto della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma l’anno precedente. Il decimo anniversario di quello storico momento fu celebrato or non è molto con grande solennità in questa stessa città. Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale, che si realizzerà a Roma nel prossimo ottobre. I Padri del Sinodo rifletteranno insieme sul tema: "La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: ‘Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14)". Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo.

Anche in mezzo alle più grandi sofferenze, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza. La vita di Santa Josephine Bakhita offre uno splendido esempio della trasformazione che l’incontro con il Dio vivente può portare in una situazione di grande sofferenza ed ingiustizia. Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone. Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come "civiltà dell’amore" (cfr Messaggio per il Regina caeli, Pentecoste 1970).

Qui in Camerun, dove oltre un quarto della popolazione è cattolica, la Chiesa è ben piazzata per portare avanti la sua missione per la salute e la riconciliazione. Nel Centro Cardinal Léger, potrò osservare di persona la sollecitudine pastorale di questa Chiesa locale per le persone malate e sofferenti; ed è particolarmente encomiabile che i malati di Aids in questo Paese siano curati gratuitamente. L’impegno educativo è un altro elemento-chiave del ministero della Chiesa, ed ora vediamo gli sforzi di generazioni di insegnanti missionari portare il loro frutto nell’opera dell’Università Cattolica dell’Africa Centrale, un segno di grande speranza per il futuro della regione.

Il Camerun è effettivamente terra di speranza per molti nell’Africa Centrale. Migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. E’ una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati. E’ una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto. E’ una terra di giovani, benedetta con una popolazione giovane piena di vitalità e impaziente di costruire un mondo più giusto e pacifico. Giustamente viene descritto come un’"Africa in miniatura", patria di oltre duecento gruppi etnici differenti che vivono in armonia gli uni con gli altri. Sono, queste, altrettante ragioni per lodare e ringraziare Dio.

Venendo tra voi, oggi, prego che la Chiesa qui e dappertutto in Africa possa continuare a crescere nella santità, nel servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Prego perché il lavoro della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi possa soffiare sul fuoco dei doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa in Africa. Prego per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e i vostri cari e chiedo a voi di unirvi a me nella preghiera per tutti gli abitanti di questo vasto continente. 

Dio benedica il Camerun! Dio benedica l’Africa!


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