22/02/09

Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente Carròn



Da: padre Aldo TRENTO 

Data: Sat, 21 Feb 2009 09:56:07 -0300

Oggetto: lettera 22/02/2009


Cari amici,

“non ci ardeva il cuore mentre lungo il cammino parlavamo con lui?” Si domandavano i due discepoli di Emmaus. Ebbene, alla fine di questi giorni passati in compagnia di Carron, durante l’incontro responsabili dell’America Latina a S. Paolo e il commovente incontro allo stadio con 15000 amici guidati dai miei carissimi amici, gli Zerbini, è quanto vibra dentro di me.

Ho rivisto vivo, palpitante, fisicamente presente, don Giussani. 

Guardando Carròn, ascoltandolo, lasciandomi provocare dall’intensità della sua umiltà che ci conduce sempre a quello che Giussani definisce “il criterio oggettivo, infallibile per giudicare tutto, il cuore” era evidente che Giussani stava lì. Che bello: per me Giussani non è morto, anzi, direi che in Carròn è più vivo di prima. Ed è il mio cuore a dirmelo, perché ero commosso nel seguirlo, era come quel primo giorno che avevo incontrato Giussani in via Martinengo, era come quando 20 anni fa mi ha tenuto con sé due mesi: la stessa intensità di sguardo, una capacità impressionante di parlare al mio io. Davvero nei miei 62 anni solo Giussani ed ora Carròn hanno saputo e sono capaci di parlare così al mio cuore. 

Uno spettacolo che, avvicinandosi l’anniversario della morte di Giussani, mi fa gridare: Giussani è vivo, più vivo di prima perché adesso quelle parole che avevano soffocato il mio cuore, salvandomi dall’ideologia, hanno in me uno spessore impensabile allora. Allora sentivo la verità della promessa, oggi vedo il lento, inesorabile, progressivo compimento.

Amici, che razza di uomo questo amico e padre Carròn!

E come vorrei che con l’intelligenza dei “piccoli”, con la semplicità dei bambini ci potessimo immedesimare con lui, con quanto ci indica. Ho visto in lui il Giovanni Battista: un uomo che rimanda ad altro, ci indica quei segni inconfondibili del Mistero che sono fra noi. Sono tornato commosso, come ai primi giorni del mio incontro con il Giuss, fino al punto di chiedere ai miei ammalati terminali questa mattina: “amici, da oggi in avanti offriamo i nostri dolori ed anche il sacrificio della nostra vita per questo uomo che davvero è la garanzia per ognuno che quell’abbraccio del Giuss mediante il quale Dio ha cambiato la mia vita, segua vivo”.
Come vorrei che quanti hanno la grazia di ascoltarlo di frequente o vivergli al fianco vibrassero come vibra il mio cuore da quando due anni fa l’ho conosciuto prendendo sul serio la sua instancabile ripetizione: “io sono Tu che mi fai” o quella del vangelo “anche i capelli del vostro capo sono contati”. È proprio da quel giorno che è sbocciata anche la grande amicizia con gli Zerbini, un’amicizia piena di chiarezza, di tenerezza che ha spinto loro a venire ben due volte a visitarci e a P. Paolino con 4 ragazzini fare 50 ore di corriera per partecipare al grande gesto di domenica scorsa allo stadio. 

Amici, uno spettacolo di fede che, credo solo nel Medio Evo era possibile vedere, quando un re aderiva alla fede, tutti aderivano, così come erano, grandi peccatori. 

Davvero ho rivisto il cuore del Movimento, della libertà. Dopo anni di stanchezza, di rischio di vivere di ricordi, oggi a 62 anni comprendo, vedo che Giussani è vivo ed è vivo se seguiamo radicalmente Carròn, assimilandoci con il suo modo di vivere Giussani. La paternità umana di quest’uomo, che ha come centro l’io, la realtà, il cuore umano, commuove e sconvolge tutti. Come è successo venerdì mattina quando con gli Zerbini ho incontrato il cardinale di S. Paolo e alcuni fra i più importanti Rettori universitari della città. 

Amici, volevo solo “festeggiare” con voi la certezza che Giussani vive e che quanti seguono con intelligenza Carròn toccano con mano questa verità: siamo più felici, più contenti. Mentre chi vive di nostalgia è triste.


Un abbraccio

P.Aldo 


Oggetto: lettera 22/02/09 b


Cari amici,

Giussani ci ripeteva continuamente e Carron ce lo mostra nella sua “carne” che c’è un criterio oggettivo e infallibile, che è il cuore, per giudicare tutto.

E il giudizio è Cristo, è la certezza che “io sono Tu che mi fai”. Un giudizio che trascina tutto con sé, sentimenti, stati d’animo, depressione, malattia, cattivo umore, infedeltà, problemi tra marito e moglie, tradimenti ecc. Trascina per me vuol dire che tutte queste cose sono come una ferita, se riconosciute, che aprono la ragione a gridare. Dentro tutti i casini, provate a dire “io sono Tu che mi fai” ma, almeno, con un minimo di certezza che è vero e vi garantisco che tutto, come diceva il vangelo di oggi (sabato) si trasfigura, diventa oggettivo, reale. Tutto si manifesta nello splendore dell’essere. Dico queste cose perché molte delle mail di questa settimana mi gridano la stessa cosa che gridano quelli che non hanno conosciuto Cristo. Le cose sopra enumerate non sono riferite ai pagani… sono cose che voi cari amici mi scrivete, perché è fra noi che succedono perché siamo come tutti… però a noi è accaduto, accade oggi qualcosa e Carròn ce lo indica “c’è un criterio oggettivo e infallibile per giudicare tutto, il cuore”.

Ed è partendo da qui che ad esempio il problema affettivo o della fedeltà matrimoniale ritrova quel respiro di infinito che ci aiuta a capire che non ha senso vivere di avventure e sono avventure qualunque rapporto che prescinde della realtà e della condizione in cui uno vive. Per questo è bello quando ascolto amici che mi dicono, come gli Zerbini: “ma noi, Marcos ed io stiamo insieme solo per Cristo, perché Marcos è per me il segno inconfondibile di Cristo”. E questo è un giudizio che arriva perfino a cambiare uno stato d’animo di fastidio in un bacio pieno di tenerezza.

Per me ogni giorno è così. Ieri, come ho messo piede in parrocchia, dopo essere tornato dal Brasile, ho dovuto fare i conti con due giovani mamme morte nella clinica e alcuni attimi dopo con un altro uomo e poi arriva la notizia che mi consegneranno un bimbo Indios di tre mesi, ammalato e abbandonato. Ero stanco e c’era un caldo insopportabile. Direi che le condizioni erano tutte favorevoli per scappare, perdere la pazienza, arrabbiarmi con Dio, in particolare per la morte delle due giovani mamme. Il mio stato d’animo era “nero”. Però, come in un fulmine, qualcosa ha invertito il mio essere: “io sono Tu che mi fai”, “la realtà è provvidenziale”, “anche i capelli del mio capo sono contati”. Questo giudizio ha letteralmente cambiato la mia posizione: da arrabbiatura ad adorazione, da fastidio alla libertà di abbracciare quelle situazioni con letizia. E così è ogni attimo della mia giornata… ma questa è l’avventura bella di rischiare la realtà.
E poi i miracoli. Ieri sera sono andato al bar con Celeste. Guardatela nella foto…e poi non ditemi che la realtà è nemica, che la realtà è negativa. Lei doveva essere già da un mese al cimitero ed ora era al bar con me. Una prova in più della grande verità del vangelo dell’emoraissa. Chissà se i medici… capiscono. Gli umili si, gli altri assolutamente no.

E poi, anche se stanco morto, ieri sera alle 23.00 sono andato in clinica a verificare tutta la cucina, angolo per angolo e gli armadi degli infermieri/e per vedere se davvero stanno vivendo quanto dice S. Paolo: “la realtà è il corpo di Cristo”. Poi questa mattina quando la clinica si sveglia con l’adorazione al Santissimo, la processione, la lettura del vangelo (la trasfigurazione) ho richiamato: “che cosa faceva quella pentola nel frigorifero con il latte dentro?...il latte non si mette nel frigorifero in una pentola di ferro, ma in un recipiente di plastica… la realtà è il corpo di Cristo”.

È un giudizio che cambia anche il modo di mettere i cucchiai a lavare, come mi diceva una infermiera, il pappagallo o la padella degli ammalati. “Padre, guardi come brillano… è proprio vero che anche questi strumenti sono il corpo di Cristo”.


Con affetto

P.Aldo 

1ª foto Celeste dopo una settimana dell’arrivo nella nostra clinica per morire

2ª foto Celeste ieri sera al bar con me

Amici: chi ha l’ultima parola sull’uomo i medici o Dio? Il mio ospedale esiste solo ed esclusivamente per rispondere a questa domanda

P. Aldo

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