Da: padre Aldo TRENTOCari amici,
Data: Tue, 6 Sep 2011 10:35:53 -0400
Un fatto accaduto in queste ultime settimane mi ha messo davanti alla
contemporaneità di Cristo e, quindi, sono divenuti una grande
possibilità di fissare intensamente negli occhi Gesù.
Avevo già il biglietto dell’aereo in tasca per venire in Italia quando
un pomeriggio vengono nel mio ufficio i medici con il direttore della
clinica e mi dicono: “Padre Aldo, tuo figlio Aldo - il mio figlio
adottivo con gravissime deformazioni fisiche – è molto grave e non
sappiamo se sopravvivrà. Vorremmo che rimanesse qui nella clinica e non
portarlo in un ospedale dove rischierebbe di essere lasciato a morire
mentre noi vogliamo accompagnarlo a morire”.
Mi sono trovato ancora una volta davanti ad una decisione: mi aspettano
al Meeting e qui i medici mi dicono che mio figlio ha i giorni contati.
Che faccio? Rimango, rimando di alcuni giorni la partenza per vedere se
migliora o rinuncio ad andare al Meeting?
Una scelta difficile perché in gioco c’erano gli ultimi giorni di mio
figlio. E un figlio, in particolare se adottivo, è la tua stessa carne,
anzi di più perché frutto di una totale gratuità. Alcuni mi dissero come
puoi andartene lasciandolo solo invece di accompagnarlo nelle sue
ultime ore? Mi sentivo spezzare il cuore, sentivo in me un sentimento
che mi diceva: devi rimanere. Però ancora una volta mi sono chiesto: ma
cosa mi domanda Cristo in questo momento?
E due giudizi mi hanno aiutato a prendere la decisione di partire. Il
primo quel figlio mi è stato donato e se Cristo ha deciso di
prenderselo, chi sono io per non darglielo? Il secondo è che la realtà
mi chiede di essere presente al Meeting e a la Thuille, dove si svolgerà
l’assemblea internazionale. Cioè la realtà mi chiama a stare dove sono
quegli amici che più mi ricordano: “È il Signore”, gli amici che più
mostravano il volto di Gesù. Ed io ho bisogno di questo perché come
potrei affrontare la vita ogni giorno ed anche quello di mio figlio, che
comunque se morirà non sarà solo ma nella compagnia dei miei amici
della clinica? E così ho preso l’aereo con la sorpresa che anche mio
figlio si è ripreso. È impressionante vedere come Dio mi educa ad essere
libero, cioè ad affidarmi al suo disegno che, qualunque sia, è sempre
positivo anche quando nel momento ti sembra ingiusto e vorresti
ribellarti. Dire “Tu o Cristo mio” non è mai scontato ma è sempre dentro
un abbandono pieno di dolore il cui esito è una strana letizia.
I figli non sono cosa nostra e lo sono solo quando ami il disegno di
Dio su di loro, anche se questo coincidesse con il toglierceli. Come mi
accade ogni giorno. Come ogni volta il dolore è sempre più grande perché
più Cristo ti afferra più sei vulnerabile, più soffri. Se prima di
incontrare Gesù neanche una “pietra in testa” smuoveva il mio cuore,
adesso che Cristo mi ha presto basta un grano di sabbia per sentire
tutto il dolore che mi circonda.
Amare, cioè lasciarsi prendere da Cristo è soffrire e soffrire è amare. E
più sei di Cristo più soffri e più soffri più cerchi Cristo. Ovvero
Cristo ci rende più vulnerabili, più sensibili, più attenti ad ogni
dettaglio.
Pregate per me e per i miei figli.
Con affetto, P. Aldo
1 commento:
Camminare con Cristo vuol dire scegliere ogni giorno di fidarsi di Lui... mano nella mano... grazie Gesù!
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