17/04/11

In morte di un'amica

Giovedì scorso è morta un'amica carissima, Bianca, da lungo tempo malata. L'11 febbraio aveva fatto una testimonianza in occasione della Giornata del Malato, in Ospedale, davanti al Vescovo di Rimini, che le aveva chiesto di ripeterla in occasione di una giornata diocesana per le famiglie. Pochi giorni dopo, un improvviso aggravamento aveva consigliato un ricovero in Rianimazione, da cui non è più tornata a casa.
Ecco la sua testimonianza, che molti nella nostra città hanno potuto conoscere, insieme alla sua foto.
Dio non lascia la sua Chiesa senza santi.
Mi chiamo Bianca, ho quasi 69 anni e da 15 sono malata.
Trapiantata di fegato. dializzata, afflitta da neuropatia alle gambe e alle mani, portatrice di epatite B e di tanti altri guasti piccoli e grandi.
Eppure sono riuscita sempre a vivere con serenità e perfino in letizia godendo della bellezza della vita e delle piccole cose ma, per raccontare come e perché sono riuscita a vivere così. devo fare un passo indietro.
Per 48 anni ero stata come tanti: messa a Natale e Pasqua per tradizione. niente messa domenicale, sacramenti, preghiere. Non ero atea ma vedevo Gesù. la Madonna. Dio piccoli piccoli su nel cielo, ininfluenti per la mia vita.
Mio marito era invece diventato ateo convinto così non ci aiutavamo nemmeno l’un l'altro. Diedi però un minimo di insegnamento religioso ai miei figli così nel '90 seguendo loro incontrai Cristo in un gruppo di ragazzi di parrocchia. Un Cristo presente che alimentava in me la speranza di una vita migliore. di una felicità più grande, di giustizia. di amore. di amicizia, di bellezza.
Fu amore a prima vista, mi convertii e cominciai a cambiare. Rimaneva il problema di mio marito ateo. Per un anno pregai e chiesi con insistenza a Cristo che entrasse nel cuore di mio marito.
Ascoltò le mie preghiere e dopo un anno anche mio marito Gli disse di sì e da allora camminiamo sulla stessa strada.
Gesù sapeva cosa mi era stato predestinato. Mi lasciò 5 anni per imparare ad amarlo di più, a conoscerlo di più, a capire, a cambiare.
Fu in quei periodo che ebbi la certezza assoluta dei Suo amore per me. Certezza che non mi ha più abbandonato. Poi all’inizio del ‘95, improvvisa e feroce la malattia, terribile, mortale. Poteva salvarmi solo un trapianto di fegato. Mi misero subito in lista di attesa, Undici mesi. trecentotrenta giorni di attesa e di passione. Mi abbandonai completamente a Lui.
Nonostante le numerose sofferenze vissi serenamente l'attesa. Perfino lieta quando il dolore mi dava una tregua. C'e una frase in un mio libretto di appunti di allora: "non sono mai stata così bene come da quando sto maie ". La malattia non mi determinava. Vivevo in pace circondata dall'amore dei miei cari e degli amici.
Anche 1a mia famiglia viveva serenamente i'attesa. Nella mia casa non ci fu mai disperazione né pianto.
Sapevo di morire ogni giorno un po' ma non avevo paura della morte. Il mio amore a Cristo era diventato così grande da consentirmi di sperare nella vita eterna con Lui.
Mi fu insegnato il valore dell'offerta e dedicai tutte le mie sofferenze ai bambini travolti dalla guerra del Kosovo. L'offerta nobilita la malattia e le dà dignità e valore. Noi malati con l'offerta e la preghiera possiamo fare molto per la Chiesa, non siamo più servi inutili.
Il trapianto arrivo proprio in extremis. quando ormai ero convinta che la mia sorte fosse segnata.
Seguirono due mesi del più spaventoso dolore che io abbia mai provato, per complicazioni varie.
Come Dio volle tornai a casa e cominciò una lunga convalescenza.
Stetti benino tre anni anche se non recuperai più le forze di prima.
Con la forza del desiderio riuscii comunque a partecipare nel '99 a un viaggio in Terrasanta. Nella Sua infinita bontà Cristo. che sapeva cosa mi aspettava. mi diede questo preziosissimo dono. Non sto a raccontare quella straordinaria esperienza. Solo un episodio: quando arrivai emozionantissima al Santo Sepolcro cercavo dentro di me promesse, richieste, ma quando misi la mano nel buco della croce seppi solo dirGli "sono tua''. Era la consegna totale della mia vita a Lui.

Nel 2000 cominciai a riammalarmi e negli anni fu tutto un susseguirsi di malattie una dietro l'altra, con alti e bassi finché nel 2006 entrai in dialisi. Toccai un momento di grande drammaticità nel 2007 ma riuscii a venirne fuori anche quella volta. Anni tutti vissuti nell'offerta per la Chiesa, nell'amore per Cristo e nella certezza del suo amore per me.
Ho fatto della malattia la mia vocazione, la mia strada. e la seguo con fiducia perché so che Cristo è sempre accanto a me. Presente ogni momento della mia vita.
Ora sono più o meno stabilizzata con una ventina di pillole varie al giorno che tengono sotto controllo i miei numerosi guasti. con una neuropatia alle gambe e alle mani molto invalidante perché mi impedisce di camminare bene e di gestire le mani e mi dà spesso forti dolori e con la dialisi tre volte alla settimana con un fortissimo dolore all’inizio. Succede che per una insolita
conformazione delle mie vene, quando inseriscono gli aghi il dolore e tenibile. Quando vedo che l’infermiera toglie l'involucro agli aghi giro la faccia dall'altra parte. chiudo gli occhi e dico ''Ti offro per l'unità della Chiesa" e so che Lui e lì, dall'altra parte del letto, partecipe al mio dolore. Ne sento vivissima la presenza.
Vedo la Sua mano trafitta dal chiodo e mi chiedo quale mostruoso dolore ha provato se sento tanto male in fin dei conti per due aghi per quanto grossi
A metà luglio sono caduta e mi sono fratturata malamente una caviglia e il perone. Prima reazione: panico, poi organizzarsi poi la calma dell'attesa. Anche questa volta. come sempre. ero certa che quel disastro non era per il mio male.
E così ho aspettato pazientemente che si svelasse iì disegno buono di quella disavventura. E così è stato. Anzi Gesù è stato prodigo di doni, ben quattro:
il primo, l’esercizio della pazienza a un livello estremo; ci sono voluti 5 mesi per rimettermi in piedi poi l’esperienza della più totale e assoluta dipendenza dagli altri e cioè mio marito  e la persona che mi assiste da anni. Una dipendenza così assoluta che mi ha fatto pensare alla dipendenza da Dio. Molte volte ci capita di dire o di pensare "io dipendo" ma spesso lo diciamo con un senso un po’ teorico. Ora io so carnalmente cosa vuol dire "io dipendo".
Terzo dono: ho imparato a pregare. Non avendo quasi mai pregato per 48 anni, dopo l'incontro con Cristo non mi veniva usuale. Nella condizione umana in cui Cristo mi ha posto è stato facile cominciare a pregare e ora non ne posso più fare a meno. Prego spessissimo per tutti, la Chiesa gli amici, la mia famiglia. gli ammalati. e questo è davvero un dono grande.
Il quarto e ultimo dono il rapporto con mio marito.
Siamo sposati da 43 anni e ci amiamo molto più dei primi tempi specialmente da quando l'amore a Cristo ha cementato la nostra unione. Si e messo totalmente a mia disposizione, disponibile a tutto, accudendomi come un neonato. Non siano mai stati tanto insieme come nel periodo della frattura.
Tutto questo è stata la positività di un incidente che agli occhi dei più sarebbe stata un’enorme scocciatura.
Io so che non guarirò mai, che sono destinata a peggiorare, ma questo non mi turba. Purché Cristo mi stia Sempre accanto e mi accompagni sulla via dolorosa che mi è stata predestinata come strada per la salvezza.
Desidero finire con un pensiero di Benedetta Bianchi Porro. Era una ragazza dei miei tempi: anni '50-‘60. Morì a 27 anni dopo una terribile malattia che le tolse tutte le facoltà. Divenne paralitica, cieca, sorda, priva del tatto, dell'olfatto, del gusto. Eppure visse sempre con una serenità sovrumana e attirava a sé tanti ragazzi e ragazze incantati dal suo carisma: un pensiero che condivido in pieno e che auguro a tutti i malati di farlo proprio: "Io penso che cosa meravigliosa è la vita (anche nei suoi aspetti più terribili) e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo”

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