04/10/10

Storia di un uomo

Oggi, 4 ottobre, ricorre il primo anniversario della morte di don Giancarlo Ugolini.
La festa che abbiamo fatto ieri, la comunione viva che sperimentiamo con lui, lo manifestano sempre quotidianamente presente fra noi in Cristo.
Pubblico oggi la testimonianza di don Stefano Vendemini, Bubi per gli amici ed i bambini, che ha vissuto familiarmente con don Giancarlo da quando lo conobbe nel 1970 fino alla sua morte, accompagnandolo come un figlio. 
Preparato per la festa di ieri, questo scritto non ha potuto essere letto pubblicamente; ma vale la pena che sia conosciuto.
Vedi anche: Tornati per incontrarlo



3 ottobre 2010
Ci è stata chiesta una testimonianza della nostra vita con don Giancarlo; ogni domanda è sacra, come diceva la Lella, e allora proviamo.
-          Mi è venuta in mente la musica “la goccia” di Chopin, con quella nota dominante che sostiene tutto il resto; credo che questa nota dominante sia la familiarità del Mistero e quello che provo a raccontare spero che la descriva un po’, perché le cose prima ci capitano e poi pian piano il tempo e la grazia di Dio, quando vuole, le fanno emergere alla coscienza.
La musica di Chopin è bellissima, la familiarità con don Giancarlo, come quella nota, mi ha segnato alla grande.
-          Per dire: l’altro giorno, in canonica, mentre stavo facendo qualcosa, sono passato vicino alla fotocopia, appesa al muro, di un’intervista che don Giancarlo, non tanto tempo fa, aveva rilasciato a un quotidiano, della raccolta “Romagnoli fedeli e non”. Ho incominciato a rileggere un capoverso a caso, … ci credete …, non riuscivo a staccarmi, non volevo staccarmi, me la sono divorata ancora una volta, preso da una parola dopo l’altra, volevo vedere dove andava a finire. Beh, uno potrebbe dire, è una cosa normale, cosa c’è di strano? È vero che è una cosa normale; ma era eccezionale, per me era eccezionale: quante volte l’avevo letta, mi sembrava nuova più che nuova per me. Quelle righe mi attiravano totalmente, come una forza, o meglio, quel che c’era dentro quelle righe mi prendeva, cioè don Giancarlo, quello che c’è dentro quelle righe. Quella cosa così semplice, come girare lo sguardo su una cosa al muro e rimanere in tutto calamitato.
-          È stato sempre così per me e sono certo di non essere una mosca bianca: per quanti, quanti di noi è stato ed è così … guardate in quanti siamo qui, perché siamo qui? E quelli che magari non possono essere qui oggi perché stanno lontano, … ecc … un popolo non viene su così … dal nulla.
-          Oggi, guardando indietro, sono commosso, grato, stupito, ma proprio, di avere incontrato don Giancarlo. Questa cosa è cresciuta nel tempo, come un fiore che non vedi crescere, lo vedi cresciuto, è una crescita impercettibile e ti accorgi che è una familiarità che si approfondisce, che grazia che mi è stata donata e che è più grande di me e della mia coscienza. Io percepisce qualcosa di questa grandezza, vorrei dire, di questa grandezza umana che si è curvata su di me come paternità, preferenza di un padre che mi ha coinvolto nella sua vita. Io mi sono sentito trattato da uomo, mi offriva continuamente la possibilità di crescere e sentivo man mano crescere la mia libertà, scoprire la presenza del mistero in lui e in ogni cosa; guardandolo e vivendo con lui percepivo la figliolanza. Per me era diventato normale, nel tempo, lo dico così, candidamente, dirgli di sì prima che parlasse. Forse non riesco a spiegarmi e a farmi capire, ma è così; noi, io, eravamo davanti a un grande uomo. Subito mi viene in mente che una volta, dopo gli esercizi della fraternità tenuti qui a Rimini, uno chiese a don Giussani: “Chi è per te Gesù Cristo?” Lui d’impeto rispose: “Gesù Cristo è l’Uomo”. Non ci piove, don Giancarlo era immedesimato con Cristo, il sui sguardo era così, si può vivere così.
Sentite questa: i bambini della nostra scuola … allora gli abbiamo fatto una sorpresa, alle elementari, l’anno scorso, mi sembra in primavera. Don Giancarlo non era mai venuto a scuola la mattina a Bellariva, ma quella mattina ha telefonato e ha detto che sarebbe venuto a prendere un giacchetto, che aveva lasciato lì dopo un collegio con le maestre; allora ci siamo tutti entusiasmati e quando è arrivato ci ha trovato tutti raccolti, bambini, maestre, direttrice, c’ero anch’io, seduti per terra nel salone, circa 300 bambini, e una sedia nel mezzo per lui.  Si è seduto, alcuni canti vivissimi, poi da parte dei bambini una caterva di domande, che non finivano più e lui rispondeva a ognuno a tono, divertito e rilassato, c’è anche una foto. Volevo solo dire due sue risposte, non voglio farla lunga.
“Cos’è per te il Signore?”ha chiesto un bambino
“Tutto, sennò come si fa a campare?” poi
“Chi è il tuo amico più grande?”
“Don Giussani”
A 80 anni, al culmine della vita ha risposto così, la sua esistenza immedesimata con Cristo e figlio di don Giussani. Allora io penso: “Che razza di desiderio aveva, che razza di libertà aveva, che razza di voglia di vivere aveva, che razza di abbraccio aveva per abbandonarsi così a Cristo ed essere così conquistato da farsi figlio di don Giussani?
Dice il Vangelo: “Chi accoglie il Regno di Dio come un bambino, diventerà grande” oppure “Chi si abbandona a me riceverà 100 volte tanto quaggiù e in più la vita eterna”; infatti la sua apertura d’animo, di orizzonte, la sua intelligenza, la sua libertà, la capacità di comprendere, l’amore al bello, il gusto del mangiare, la sua modestia (quante volte l’ho sorpreso in atti di modestia!), la passione educativa (ha insegnato fino a quando ha potuto nelle scuole statali e non statali, è stato l’anima delle nostre scuole della Karis), l’amore alla sua città, la sua genialità missionaria (pensiamo al Meeting), il gusto del riposo, la sua Sardegna, la tenacia nell’andare fino in fondo in ogni cosa, il suo sguardo come pochi, così semplice come quello di un bambino e così penetrante, un amore a sé e agli altri, tifoso scannato del Bologna ecc. … Le ultime settimane di vita diceva stupito di se stesso: “Ma come sono messo! A 80 anni mi viene voglia di interessarmi di moda! Era stata la Roberta, stilista, a fargli venire questa voglia, certo, stava pensando all’allargamento delle nostre scuole, per venire incontro all’enorme domanda di educazione che c’è, e non si risparmiava quando fiutava il nuovo.
Tutto davanti ai nostri occhi, ai miei occhi. Non gli voglio fare l’altarino, me ne direbbe di tutti i colori! Era un uomo come noi, segnato dal limite come noi “guarda che sbaglio anch’io” mi diceva. Una volta fra sé e sé “Ma che cavolata ho fatto!” ecco mi ha educato un sacco la libertà che aveva davanti al suo limite e a quello degli altri, si confessava con periodicità.
Per lui niente per meno della libertà, perché è sulla libertà che si diventa uomini e si costruiscono uomini e cose grandi. Ad esempio, un giorno mangiavamo insieme a casa di Mimmo, della Lella, lui abitava con loro. Ad un certo punto la Lella si rivolge a me e mi fa: “Bubi, vieni a fare religione nella scuola?” Io rispondo: “Se servo …” Don Giancarlo si gira verso di me “Tu non servi proprio a niente”. Questo suo nota bene me lo ricordo proprio bene, lì ho capito che la libertà è proprio diversa dalla generosità.
Ci sono altri fatti, frasi, che mi hanno segnato molto, come dei punti emergenti di un grande iceberg.
-          Quando quella volta, io ero parroco a Gemmano, me lo vedo arrivare, scende dalla macchina, mi saluta e gli dico “Ciao, don Giancarlo, qual buon vento?” “Sono venuto a trovarti”
-          Oppure, un giorno a Rimini, un po’ di tempo fa “Bubi, cosa fai oggi?” Io gli dico “Hai bisogno?” “No, no”, dopo ho capito, era l’offerta della sua familiarità a me.
-          Tempo fa andavamo in macchina, guidavo io, in via Flaminia, vicino alla chiesa della Colonnella; improvvisamente mi fa “Non sai che guidare è rapporto con l’Eterno?” Ah.
-          Un’altra volta “Non lo sai che siamo davvero strumenti di Cristo?”
-          Certe cose segrete: un giorno mentre stavamo facendo scuola di Comunità con i preti di sopra, lì dove stiamo adesso, improvvisamente mi prende le mani, mi guarda sussurrandomi, forse nessuno si è accorto “Mi ami tu?” la stessa cosa che Gesù ha detto a Pietro.
Ma che razza di familiarità mi stava offrendo?
E quella musica dell’inizio si allarga.
I miei confratelli preti, già più di una dozzina, don Claudio col quale mi lega un’amicizia profonda, ed io, ci siamo trovati, diciamo, così coinvolti con don Giancarlo e fra di noi, da mettere su casa.
Don Giancarlo aveva sempre desiderato abitare con i preti che aveva tirato su da quando eravamo ancora quasi sbarbatelli e, dopo la morte della Lella, lui ed io andammo a stare con don Claudio in via Molise, nella casa che Vittorio Tadei aveva gentilmente messo a disposizione anni prima. Aveva detto don Giancarlo “Proviamo, vediamo”. Per lui niente era scontato; ci ha educato a vivere la casa come luogo della memoria: all’entrata della clausura c’è scritto “La Tua presenza mi riempie di silenzio”. Un uomo silenzioso, il vociare, le chiacchiere non lo entusiasmavano, spesso lo vedevo assorto, la sua giornata era ordinata come un orologio, pregava molto, rifletteva molto, lavorava molto; anche quando stava fermo, era capace di mettere in moto la libertà degli altri. La frase di Antoine de Saint-Exupéry, scritta sul suo santino, è veramente azzeccata: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare la legna, dividere i compiti e impartire gli ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.
Tutto questo lo abbiamo visto con i nostri occhi davanti a noi.
-          Un giorno ha detto una cosa di una bellezza unica; in un incontro parlavamo della felicità e a un certo punto, in mezzo ai nostri interventi, ha detto: “A mio parere la felicità è la possibilità continua della ripresa, poter dare in ogni istante del Tu a Cristo presente”. Questa me la ricordo proprio bene, mi ha aperto.
-          Una vita vissuta straordinariamente e che si è compiuta ancora di più; sentirgli dire quando seppe della malattia “Io mi abbandono a Gesù, io gli chiedo di guarire; ma questi sono affari suoi, ancor più gli chiedo che cresca la mia familiarità con Lui, perché è questo che conta, e la guarigione non è tutto”. Don Claudio, don Carlo, don Giorgio e tutti gli altri ed io eravamo lì. Don Claudio un giorno ha detto: “non è tanto don Giancarlo che ha bisogno di noi, siamo noi che abbiamo bisogno di lui”. Che dolore, ma che grandezza! Ci sono stati momenti di tenerezza infinita: “Statemi vicino”. Per noi lo stare con lui era bastante, tutte le cose erano piene di significato, mangiare, pregare, riposare, guardare la televisione … quando eravamo soli spesso guardavamo la televisione, lui in poltrona io e don Claudio nel divano, i programmi erano così così, non se ne trovava uno, sì, le canzoni degli anni ’60, comunque per me stare lì con lui e Claudio non era tempo perso, anzi, starei per dire come pezzi di paradiso.
-          Giorno per giorno ha imparato l’obbedienza da ciò che sofferse; una sera, mentre dicevamo il Rosario, esclama: “Com’è bella l’Ave Maria!” “Perché?” “Ma non sentite? Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”e un giorno, mentre stava prendendo una delle solite pastine, mostrandola alla Nadia disse: “Vedi, questo è l’Angelo che porta l’annuncio a Maria”. Che coscienza ha acquisito! La sera del 7 settembre ha detto delle cose … eravamo in alcuni nella sua stanza, e quando gli amici sono andati via, gli ho detto: “Don, queste cose me le devi dettare, che io le voglio studiare” e lui me le ha dettate e poi ha detto “Adesso basta”. Io queste cose le medito tutti i giorni, una sintonia totale con Carròn. Beh, questo lo ha sempre detto: “Carròn ci aiuta a vivere oggi la freschezza dell’origine”. La sue ultime parole: “L’unica cosa che conta è ringraziare tutti, dobbiamo ringraziare di tutto quello che ci è stato donato”. Io e Claudio eravamo lì, ci ha detto: “Ditele a tutti e ringraziate tutti per me”
Stiamo meditando la Scuola di Comunità sul sacrificio: penso che la sua testimonianza in proposito sia grande.
Don Giancarlo ha offerto la sua vita per la santità del Movimento e per la vita della Chiesa, ora la musica arriva al punto più alto, … la sua vita, la sua umanità è evidente che hanno il sapore della santità. Io di questo sono certo, posso dire con voi che l’ho vista con i miei occhi, che l’abbiamo in tantissimi vista con i nostri occhi.
Poco tempo fa l’ho sognato, era un pomeriggio, ero andato a riposare, nel sonno mi giro e me lo trovo lì, in piedi, ritto che mi sorrideva, un sorriso aperto così, mi accarezzava la mano e mi ha detto: “Va avanti così”. Io sono rimasto … non “come sono bravo”, ma, Madonna, che grazia, e che responsabilità.
Siamo anche noi proprio portati da un Altro.
E il meglio deve ancora venire.
Quindi, coraggio, aprire

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