Un semplice esercizio di scrittura e di meraviglia.
Il viaggio di Jaki
Jaki si era svegliato nel cuore della notte. Tutto era buio. Le stelle splendevano in cielo. La luna filtrava fra le serrande e non c’erano suoni. Solo una macchina passò veloce sulla strada. Jaki si alzò, nel suo pigiamino bianco con gli elefantini e la collanina col sole che amava tanto. Era l’ultimo regalo della mamma per il suo compleanno. Aveva sete. Bevve. Quello strano chiarore era affascinante. Uscì in giardino e restò incantato. La luna splendeva come non mai, una piccola falce di luna, a forma di C, voltata in alto, in mezzo ad un cielo nero zeppo di stelle. Il giardino era pieno di piante: pioppi, pini, un glicine, qualche roseto, due albicocchi, quattro tigli. Una siepe di mortella lo circondava tutto. La piccola casetta di Tobi, il cagnolino dalla coda corta era in mezzo ad esso, nell’angolo del prato, dietro il fico dolcissimo.
Jaki, assonnato, girava nel cortile. Non era freddo. Fu lì che vide, notandolo per la prima volta, il vecchio platano, carico di anni e povero di foglie. Al chiaro di luna sembrava una fionda! Il tronco si alzava e a un certo punto si apriva in due grossi rami a mo’ di forcella. La luna brillava in cielo lassù, proprio dietro di esso.
Un lampo, un’idea, la fionda, la luna… Mancavano solo gli elastici!
Corse subito, urlando di gioia in silenzio, nel capanno degli attrezzi del babbo. Trovò ciò che cercava: due vecchie camere d’aria di una bicicletta bucata e qualche elastico robusto. Le fissò ben bene, legandole fra loro. Si mise in mezzo e camminò pian piano all’indietro, fissando il suo obiettivo. Quando furono ben tese, si lasciò andare e… meraviglia! Volò verso la luna, come un sasso scagliato verso il bersaglio.
Volava dritto, nel silenzio della notte. Nessun aeroplano di passaggio si frappose. Per poco non colpì un gufo notturno che tornava pigramente al suo nido dopo una serata passata con gli amici. Passò in mezzo ad uno stormo di anatre migranti, che non protestarono e presto fu solo fra le stelle.
La casa, poi la città, poi il mare e tutta la Terra via via rimpicciolirono. Non sentiva freddo né paura. Il suo pigiamino lo proteggeva e la luna lo attirava. Ecco, la luna era sempre più grande. Afferrò al volo il corno più basso e si fermò. Si accomodò a sedere come su una poltrona e si riposò. Respirava bene. Solo il cuore batteva un po’ più forte per l’emozione. Chi ha mai detto che sulla luna non c’è aria? Tutte fantasie di chi non c’è mai stato. Che gioia! Che spasso! Seduto sulla luna, guardava le stelle, molto più grandi e vicine. Abitavano nel cielo anche loro! Provò ad afferrarne una; ma scottava un po’. In fondo erano fatte di fuoco.
D’un tratto un’ombra. Qualcosa si avvicinava. Una strana cosa, un po’ più grande di lui. Stropicciò gli occhi e vide… la Marty, la sua sorella maggiore. Lo aveva seguito; ma ecco, più piccolo, in arrivo, comparve anche Mario. Capperi, però! Anche sulla luna ti seguono i fratelli! Provò a lamentarsi, come se gli avessero rubato qualcosa; poi si strinse un po’ e fece loro posto.
Mario, come il solito, volle mettersi nel posto più bello, vicino alla punta, cavalcioni di essa. La Marty, nella sua vestaglietta rosa a fiorellini blu, aveva visto tutto ed era andata a chiamare Mario. Aveva trovato l’elastico ed era partita per recuperare Jaki, non senza essersi raccomandata con Mario di non muoversi e di aspettarli. Mario, disubbidiente, le era andato dietro nello stesso modo insieme alla sua tartaruga ninja preferita ben stretta nella mano. E adesso, tutti e tre, erano sulla luna, di nascosto dal babbo e dalla mamma.
Le gambe penzoloni guardavano in giù. La Terra era blu, con qualche nuvoletta e una casetta vicino a Viggiù. Nel cielo più nero le stelle eran tante, dorate, d’argento, qualcuna viaggiante. Sul bordo, nel mare due delfini innamorati saltavano sulle onde guardandosi negli occhi. Una macchia di neve, un’intera foresta e fiumi che pigri correvan qua e là. Che bello! “Restiamo per sempre quassù!” pensarono insieme.
Il tempo passava. La falce di luna si era fatta sempre più piccola e sottile. I tre fratellini stavano sempre più stretti e, quando la luna scomparve del tutto, caddero insieme, mano nella mano, verso la Terra. Veloci veloci e sempre di più, vedevano la Terra ingrandirsi, il mare, le piante. “Aiuto! Presto ci schianteremo” urlò la Marty.
“Nessuna paura” rispose Jaki. Si tolse la giacca del pigiama, l’afferrò per le maniche e – urca peppa! – ne fece un paracadute. Glielo aveva insegnato Marco, l’amico di Bubi, che aveva fatto il soldato nei parà.
La Marty afferrò il bordo della vestaglietta e allargò le mani. Sembrava una campana. Disse a Mario: “Prendi i miei piedi e tieniti forte”.
Sani e salvi atterrarono dolcemente nel giardino di casa, sull’erba tenera e fresca di rugiada. Una coccinella che passava di lì salì lentamente sulla mano di Jaki. Rossa con otto puntini neri sulla schiena se ne stava a guardare questi piccoli animali caduti dal cielo. “Come faranno a volare senza ali” si chiese in cuore, ma subito passò a esplorare le dita, senza dire nulla.
Entrarono in casa, si affacciarono alla camera del babbo e della mamma. Dormivano. Il babbo russava un poco e la mamma Lucia aveva la testa appoggiata sulla spalla di lui.
“Zitti! – sussurrò la Marty – torniamo a letto. Non si sono accorti di niente”
“Ma io ho sete” disse piano Jaki.
“Va’ in cucina e fa’ silenzio”
Mario era già nel letto; la Marty stava sornacchiando quando Jaki tornò. Si stese, tirò su il lenzuolo, poggiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi e…
“Bimbi, sveglia, è ora! Oggi si torna a scuola! Mario, dai! Marty, aiutalo! Jaki, JAKI! Andrea, dammi una mano”
“Mamma, lo sai? Sono stato sulla luna. Stanotte, quando dormivate.” disse Jaki mentre la mamma preparava il caffelatte.
“Sì, sì, Jaki, ci credo, ma adesso fa’ presto; è pronta la cartella?
“Babbo, sulla luna si respira”
“Certo e si nuota anche in piscina, vero?”
“Ma babbo, è vero! Chiedi alla Marty”
“Sì, sì e dimmi, come sono fatte le donne lunatiche?” e afferrò, ridendo, le chiavi della macchina, che lo aspettava, paziente, in garage.
Mario non disse nulla. I tre fratellini si guardarono in silenzio sconsolati. Non avevano sognato, oppure…sì?!
Jaki afferrò la collanina che portava sempre al collo, con il sole d’argento finto che pendeva. Lo guardò. La coccinella era lì e lo fissava con i suoi occhi piccoli piccoli. Lei aveva sentito tutto. Aveva visto tutto. Lei sapeva. Era testimone. Li aveva visti atterrare, aveva sentito i loro commenti entusiasti. Avrebbe potuto parlare, affermare che era vero, che tutto era vero.
Ma taceva.
1 commento:
bellissimo!
quello stile naif che tanto mi piace, sospeso tra sogno e desiderio...
Sono raccontini leggeri e piacevoli e riconosco l'autore...
Grazie di averlo pubblicato qui!
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