01/05/10

Guardare in faccia a Cristo

Da: patrento
Data: Fri, 30 Apr 2010 12:36:05 -0400

Cari amici,
più di qualcuno mi chiede come mai non scrivo più tanto come prima. La risposta è molto semplice: è sempre più necessario che ci educhiamo a seguire e a prendere sul serio ciò che Carròn ci insegna con il suo modo di vivere il carisma di Giussani, arricchito dal suo personale dono di entrare nel cuore della realtà facendoci cogliere tutta la strepitosa positività che contiene. È come se guardando a lui, alla sua libertà, al suo modo di stare davanti a Cristo, percepissi sempre più che anche per me è lo stesso.
“Guardare in faccia a Cristo”: ecco in questa affermazione è contenuto tutto il mio vivere, stare davanti a Lui dalla mattina alla sera. Stare davanti a Lui quando mi alzo con l’umore nero e da subito ho bisogno di mettermi in ginocchio per guardare in faccia l’alba che spunta con un sorriso. Stare davanti a Lui per uscire, fare la mia corsetta di mezz’ora per permettere al mio diabete di non fare scherzi… stare davanti a Lui pregando, possibilmente,  i 4 rosari per poter, anche distrattamente, godermi la Sua vita così ben sintetizzata nel rosario. Stare davanti a Lui prendendo il caffè e poi correre alle 7 del mattino a prendere i miei bambini per portarli a scuola, dopo aver dato ad ognuno il bacino che tanto aspettano e aver recitato insieme le preghiere davanti alla Madonna. Stare davanti a Lui quando, lasciati a scuola i bambini, corro in clinica dove alle 7 e 15 tutti i dipendenti della Divina Provvidenza, la padrona dell’ospedale, aspettano per la mezz’ora di adorazione, divisa fra la processione e la comunione agli ammalati, le letture del vangelo e un pensiero che svegli in ognuno la stessa posizione del cuore che già da più di un’ora e mezza mi riempie il mio. Stare davanti a Lui mentre mi inginocchio davanti ad ogni ammalato dandogli un bacio sulla fronte e una  carezza. È il momento più bello del giorno: con l’Eucaristia nelle mani, in ginocchio davanti ad ogni paziente. È il rivivere ogni momento il Mistero della passione, morte e risurrezione. Questo Mistero così concreto nella mia giornata, una giornata che inizia presto e termina tardi, quando, dopo aver dato il bacino della buona notte ai miei bambini (non sempre riesco ad andare alla casetta di Betlemme perché c’è sempre un imprevisto), ritorno alla clinica per salutare le mie piccole ostie bianche (Victor, Cristina, Celeste, Aldo, Mario) spesso ancora svegli. Li bacio, m’inginocchio davanti ad ognuno e poi toccando uno per uno la fronte, mi faccio il segno della croce. Sono il mio Gesù, quello che più soffre e che più mi conforta. Solo dopo aver salutato questo Crocifisso, che sono i miei piccoli ammalati, saluto Gesù Eucaristia e vado a letto cercando di dormire… però guardando Lui.
Sapeste quante volte riprendo questo pezzo di scuola di comunità in cui Giussani parla di guardare in faccia a Cristo e quante volte leggo, rileggo cosa Carròn ci dice. La sorpresa più bella (ma potrete leggerla su Tempi) è stata la visita di Marcos, Cleuza e Bracco (responsabili del Brasile) la settimana scorsa. Ero tornato da un lungo giro e tutti sentivamo un grande desiderio di vederci. Così loro hanno preso il primo aereo e sono piombati qui. Io ero molto stanco e avevo bisogno di vederli, di stare con loro, perché come dice Cleuza “spesso nella vita ci si può trovare nel fondo di un pozzo. Allora hai due possibilità: o guardarti attorno e sentirti soffocare o alzare gli occhi e vedere quel metro quadrato di cielo azzurro che ti fa chiedere, gridare “aiuto”. E di fatto è accaduto proprio così: loro sono stati per me quel pezzo di cielo azzurro.
Ma non perché abbiamo fatto un giorno di ritiro spirituale, ma per il semplice fatto che ci siamo fatti compagnia, aiutandoci con il testo di Carròn pubblicato su Repubblica per  Pasqua: “Feriti, torniamo a Cristo”. Tutti siamo feriti e per questo bisognosi di tornare a quel Tu, a quel stare davanti a Lui. È stato bellissimo perché, vivendo assieme a loro ciò che vivo tutti i giorni, è stato un entrare  ancora di più nel cuore della questione: la passione per la gloria di Cristo. E poi è stato bello perché anche i miei confratelli sempre più vibrano di questa bellezza. Però su Tempi troverete tutti i dettagli di queste giornate. Il primo di maggio la clinica compie 6 anni. Ho accompagnato quasi 700 pazienti a morire fra le braccia di Gesù. In sei anni la morte mi è diventata amica e non ha più quella faccia così brutta come da sempre l’ho vista. Pensate: è il momento in cui stai per incontrare Gesù, quel Gesù per cui sono finito qui, quel Gesù per cui, grazie a tante miserie vissute, mi ha fatto toccare con mano cosa significhi l’orto del Getsemani, quel Gesù che si è servito e si serve di un poveraccio come me, con un caratteraccio unico e spesso con una emotività alterna, però ben ancorata alla certezza che nessun problema è più grande della risposta. Che nessun problema è più grande di Gesù. Mi diceva ieri una infermiera: “Ciò che muove la mia vita è il miracolo: tutto è per me un miracolo, dal modo con cui tolgo i pannoloni agli anziani a come li pulisco etc.. la fede non è dire “arrivo fino lì” , ma la certezza che Dio compie e per questo ti chiede tutto. Se io sto qui è perché il Signore mi vuole qui. La fede è la speranza che si compie. Per esempio quando arrivano i barboni uno direbbe: “Ma questi non cambieranno mai, con questi è inutile pensare di educarli”. Invece per me non è così perché ho la certezza che nasce dalla fede che, con il mio affetto, la speranza che accada in loro qualcosa si avveri. Di fatto, dopo mesi hanno imparato a usare il bagno, ad accettare le medicine, a stare assieme a tavola usando perfino il tovagliolo. Il miracolo è il frutto della insistenza della fede che è la speranza. Dipende da me che ciò accada, perché se la mia libertà non lascia una fessura aperta alla grazia, neanche Dio può fare niente”.
Ed è bello vedere come queste 150 persone che lavorano qui, dipendenti diretti del Padre Eterno, imparino a vivere così il lavoro, imparino a stare a Cristo e vedano ogni giorno i segni della Sua vittoria. Arrivano pieni di casini e nel tempo, educati a stare davanti a Lui, cambiano, diventano umani. È il  mese di maggio e vi chiedo di pregare la Madonna per me e per i miei ammalati e tutto questo popolo che qui vive e soffre. Una nota finale: ieri, come ogni 15 giorni, incontriamo gli ammalati di AIDS per stare assieme, perché l’uomo è una compagnia. Questo è un Indio, transessuale con i capelli (tinteggiati) biondi. È anche il mio figlioccio di cresima. È uno di quelli che, grazie all’affetto e alle medicine, da moribondo ha ripreso a vivere. Ebbene è venuto da lontano, poverissimo fino al punto che ci ha detto: “Per venire a stare con voi in compagnia mi sono fatto prestare un paio di scarpe perché da mesi vado scalzo perché non ho niente, spesso neanche da mangiare”. Che commozione! È vero: quando c’è una domanda grande nella vita si cerca una compagnia adeguata e, non avendo le scarpe per raggiungerla, uno le chiede in prestito a chi ce le ha.  Domanda piccola, incontri con uomini nani; domanda grande, incontri con giganti. “Feriti, cerchiamo Cristo”… ma prendiamolo sul serio … ma se non si è feriti … non chiediamo in prestito le scarpe …

Con affetto,
P. Aldo

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