26/07/13

Educazione, sfida della libertà

Dedico questa lettera di Padre Aldo ai miei ragazzini delle Medie, ai miei studenti liceali, ai miei colleghi professori, segretarie, operai e tecnici della Scuola dove vivo la mia vecchiaia circondato dal loro affetto e comprensione.
Educare alla libertà. E' sempre stato il desiderio ed il lavoro quotidiano della Lella e di don Giancarlo, che hanno dato vita a questa scuola. Lunga vita ai nostri maestri! Grazie ai nostri educatori!


Cari amici, educare è proprio riconoscere la libertà dell’altro accettandone la sfida. Per questo è vivere sempre come sospesi, ma sospesi nella certezza che se accogli questa sfida vedrai rifiorire, nei tempi stabiliti da Dio, il figlio che ami e che se ne va di casa. E accogliere la sfida significa essere liberi noi, di fronte a quanto accade con i figli. E questo è possibile solo se in noi accade l’esperienza della misericordia divina. Gabriele, né lui né noi sappiamo da dove viene, chi sono chi sono i suoi genitori. Ci è stato consegnato dal tribunale dei minori quando aveva otto anni. Fino ad allora era vissuto in istituzioni pubbliche, covando dentro e manifestandola a tutti, la grande rabbia e violenza che sembravano strutturali in lui. Dal primo giorno che è arrivato nella casetta di Belen, ha da subito manifestato la sua violenza. Affermava se stesso con il NO a tutto e a tutti, ogni parola che gli si diceva diventava per lui motivo di litigio. Scappava da casa, dormiva sui grossi tronchi degli alberi, mi ha fatto “impazzire” più volte. Insomma, una storia di violenza che evidenziava quanto dice Pavese: “Ogni forma di violenza è frutto dell’assenza di tenerezza”. Un giorno se ne andò via, deciso a non tornare più. Aveva dieci anni. Una donna vide il mio, il nostro dolore, e lo accolse a casa sua. Lui, però ha continuato a frequentare la nostra scuola. Finalmente inizia una vita un po’ differente, in una povera casa, in compagnia di questa donna e di suo figlio della sua stessa età. Però anche lì ne fa di cotte e di crude. Tenta anche di farle del male, entrando di notte nella sua camera. Ma questa signora, ragazza madre, continua a perdonarlo e a soffrire. Tuttavia lui lascia anche questa casa, vivendo in giro per le strade. Rimane però fedele alla scuola, dove ottiene risultati brillanti grazie alla sua intelligenza. Vive nelle strade, dormendo di notte in un rudere. Non si lava, è magrissimo. Tutti ci preoccupiamo: è nostro figlio. In queste condizioni, dopo anni che non mi parlava e che mi sfuggiva, un giorno si avvicina a me: “Padre, posso venire a vivere con te, nella tua casa?” Non ci potevo credere! Lo guardai con grande tenerezza e gli risposi: “Sì, figlio mio, tu sai da quanto tempo ti stavo aspettando”. E così l’ho preso con me. La prima cosa che mi ha chiesto è la benedizione. Gli ho risposto che avrebbe dormito nella stanza con Don Fortunato, un vecchietto di 78 anni, solo, che già da tempo viveva con me, insieme ad un giovane studente di medicina. Così, da quasi un mese, Gabriele fa parte della mia famiglia, rendendo felici anche i due sacerdoti che abitano con me. È la parabola del figlio prodigo che accade oggi. Appena gli ho mostrato la camera da letto, a fianco della mia, gli ho detto: “Gabriele, tu hai sempre voluto essere libero, o meglio, fare quello che vuoi. Anche qui sei libero, io non ti controllerò, però sappi che ti voglio un bene dell’anima. Ti faccio solo queste due richieste: 1. Mi dici sempre dove vai; 2. C’è un’ora precisa per alzarti e per andare a letto. Noi mangiamo alle 13 e ceniamo alle 21. Chiedi tutto quello di cui hai bisogno”. Una sfida alla sua libertà, coscienti del rischio perché ha 14 anni. E lui l’ha preso sul serio percependo che la libertà del fare ciò che vuole non lo avrebbe portato a nulla, perché la vera libertà è riconoscere un’appartenenza. Gabriele sta sempre con noi. 

“Padre, se vuoi, preparo io la colazione alla mattina, per tutti”. “Padre, nel tempo libero desidero lavorare nella pizzeria”, “Padre, vorrei aiutare Giovanni quando porta con l’ambulanza un ammalato in ospedale”. Si preoccupa della mia salute, mi chiede ciò di cui ho bisogno, mi ha scritto bene su un foglio la dieta ordinatami dal dottore, ecc. Quando si alza, mi chiede la benedizione con le mani giunte e lo stesso prima di andare a dormire. Così lui cammina guardando dove io guardo, mentre io, con la coda dell’occhio, lo aiuto a vivere fino in fondo la sua libertà. Un’esperienza educativa unica, tutta giocata nella sfida alla sua libertà. Ed è bello quando, prima di dormire, riuniti tutti e quattro (io, il vecchietto, Gabriele e Paolo) ci troviamo nel mio piccolo appartamento a dialogare fra noi di tutto e su tutto. 

Un altro esempio di come la sfida alla libertà sia decisiva nell’educazione della persona. Abbiamo una fattoria, dove vivono una decina di uomini eterosessuali ammalati di AIDS. Vengono aiutati da una buona signora nel far da mangiare e in alcune faccende domestiche, ecc. Sono soli. Il sabato celebriamo la Messa insieme mentre il lunedì pranziamo insieme anche con suor Sonia. Si autogestiscono. Anche per loro la vera sfida è sulla libertà. Una sfida con tutti i rischi che comporta. Trattandoli “da uomini” stanno diventando uomini. Gli errori di un tempo sono finiti. Certo, niente è scontato, e per questo la nostra “presenza” è una Presenza. Ed è bello vedere che quando arrivo alla fattoria sono tutti lì ad aspettarmi, aiutandomi in tutto con tanta tenerezza, vedendo le mie difficoltà nel camminare e nel parlare. Educare alla libertà è la grande sfida che la realtà mi offre ogni giorno, cosicché più sono libero io più sono liberi loro. Liberi anche di sbagliare, ma soprattutto liberi di riconoscere che c’è una Misericordia Infinita che ci abbraccia ad ogni istante cosi come siamo. 

Amici, nelle mie condizioni attuali Dio mi sta chiedendo tutto (il pastore dà la vita per le sue pecorelle). Questa libertà piena di pace che porto nel cuore è come una calamita che mette insieme persone a cui nessuno darebbe una briciola di fiducia. Nella mia impotenza fisica è sbocciata una tale potenza di tenerezza capace di rigenerare ciò che per il mondo è un disgraziato o uno scavezzacollo. Amici, come vedete è Gesù che agisce. Fino a ieri ero come un trattore, oggi sono una carriola che cigola, eppure è solo in questa esperienza di debolezza, in cui fisicamente sono un po’ imprigionato, che si manifesta potentemente la Sua grazia. Davvero educare significa ESSERCI: significa che l’altro vede in te la vibrazione dell’ESSERE. Il massimo dell’evidenza di questa vibrazione della Presenza la sperimento guardando i miei due figli idrocefali, Aldo e Mario, che da anni giacciono impotenti nel letto. 

Verso sera faccio fatica perfino a muovere il collo, che mi sembra cementato, la voce mi esce a stento, i passi piccoli e fiacchi, eppure, dentro un’irritabilità terribile, la potenza della misericordia di Dio si rende evidente, commuove me e chi mi sta vicino. Anche nell’umiliazione di sentirmi un pezzo di legno scopro con stupore che su questo stesso legno sbocciano fiori che profumano. 

Mi affido alle vostre preghiere alla Madonna e abbraccio quanti vivono questi doni di Gesù dicendo “Gesù ti offro”.

P. Aldo

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